PALERMO – Perché il calcio è lo sport più amato nel mondo? Semplice: perché ogni volta non è mai come la volta precedente, ogni volta devi aspettarti qualcosa di nuovo, ogni volta c’è una sorpresa. In parole più semplici: perché ogni partita che comincia non puoi mai sapere come va a finire. E’ così per tutti, è quasi una verità dogmatica, di quelle che non si discutono nemmeno: si accetta e basta. Per tutti, ma non per noi sventurati, lo dico nel senso nobile della parola, tifosi del Palermo: per noi, invece, c’è una verità altrettanto dogmatica ma del tutto opposta. Per noi c’è solo da soffrire, sperare, sperare, sperare e poi basta un colpo di mano della sfortuna e tutto svanisce.
E’ accaduto una decina di volte quest’anno, come l’avesse deciso il destino, ad inizio campionato: corri, lotta, sbattiti pure come e quanto vuoi, tanto sarò sempre e solo io a decidere come finisce la partita. E ieri è finita che, pur non facendo un solo tiro in porta, il Chievo è riuscito a pareggiare. Era successo a Udine, era successo col Cagliari, con l’Atalanta, col Pescara, con l’Inter, col Genoa, col Parma: tutte partite che sembravano finir bene per il Palermo e che, invece, per un refolo di vento, o un attimo di blackout, son finite che ora siamo ridotti al lumicino con il baratro della serie B sotto i piedi. Anche ieri, a Verona, la partita l’avevamo in pugno, così come la vittoria, poi, all’improvviso, un colpo di mano ce l’ha soffiata da sotto il naso e ci sono rimasti solo occhi per piangere. Piangere perché davanti alla sfortuna, megera nana e maledetta, non c’è nulla da fare: il colpo di mano di Garcia, che – lo dico senza malizia – dovrebbe farsi un bel viaggetto a Lourdes e scrollarsi di dosso la maledizione che lo perseguita. Lui non è un asso, non è un gran giocatore; lui ce la mette tutta, dal primo all’ultimo minuto e non tira mai indietro la gamba. Eppure basta un suo errore, un attimo di distrazione e finisce tutto: gli basta una scivolata davanti alla sua porta, gli basta allargare un braccio e fermare una palla innocua, destinata a finire nelle mani del suo portiere, che l’arbitro fischia il calcio di rigore. Che peccato! Un’espressione, questa, che mi scappa dopo quasi ogni partita, ma, purtroppo, di peccato in peccato, si va a finire in serie B, malgrado Malesani ce la stia mettendo davvero tutta per ricostruire il morale della squadra, e non solo il morale: la sta rifacendo di sana pianta, a cominciare dal modulo di gioco, passando dai tre ai quattro in difesa. E direi che ha avuto coraggio, il coraggio della disperazione perché cambiar sistema dopo tre quarti di campionato non è roba di tutti i giorni. E, a giudicare dalla prova di ieri al Bentegodi, ha avuto ragione lui: Sorrentino, fischiato dai suoi ex tifosi dal primo all’ultimo minuto, non si è dovuto nemmeno sporcare i guantoni. La partita se l’è vista da spettatore non pagante e questo può significare solo che la difesa rosanero ha funzionato alla perfezione. E dirò di più: se Garcia non avesse colpito di mano quella palla vagante, staremmo ora far castelli in aria per la prima vittoria esterna. E invece, eccoci qui, come al solito a dire: “Che peccato!” e a maledire la dea bendata, che ancora una volta ci tratta a scarpe in faccia.
Ma fin qui, si è sfogato il tifoso: ora tocca al giornalista e vediamo cosa sa fare di meglio e di più. Ci provo. Il Chievo ha pareggiato di rigore, altrimenti finiva 1-0 per noi. Probabile, anzi certo: i gialloblù attaccavano, specie dopo l’innesto di Pellissier al posto di Hetemaj, ma di parate di Sorrentino neanche una. Però, anche il Palermo ha le sue colpe, non può pretendere di vincere con un solo tiro in porta. Esattamente come il Chievo: un tiro in porta cadauno non fa male a nessuno. O forse ad entrambe le squadre ma, di più sicuramente al Palermo, che con i tre punti si schiodava finalmente dal fondo della classifica. Tutto vero, ineccepibile, ma con un “però” grosso come una casa: il Palermo il suo gol lo ha fatto su azione ed è stato un gran bel gol; il Chievo, invece, l’ha trovato per quella “manata” involontaria di Garcia. La differenza c’è ed è lampante e la fa, quasi interamente, il caso. Due punti in due partite sono poco più di nulla e per venir fuori, tirar su almeno la testa, dalla melma della retrocessione, ci vuole ben altro. Ci vogliono le vittorie, magari una dietro l’altra, in casa e in trasferta.
E non sto scoprendo l’America, sto dicendo cose ovvie e scontate, lo so, perciò, voglio aggiungere qualcosa di più forte, di più pesante: e cioè che non basterebbe neanche vincerle quelle quattro o cinque (meglio sei) partite da qui alla fine, se, nel frattempo, non si ferma qualcuna delle dirette concorrenti alla salvezza. Insomma, non dipende solo da noi perché, per salvarci, dovremo contare anche sulle altre, sperare che qualcuna di esse inciampi, e non una ma almeno due o tre volte di seguito. Il tempo c’è e i numeri pure, ma solo quelli: il resto dovremo farlo noi, a suon di partite gagliarde, sperando nel recupero dei migliori, da Miccoli a Ilicic a Dossena e che gli argentini, portati in rosanero da Lo Monaco, svelino presto tutte le loro migliori qualità. Sperando, vivaddio, finalmente nella fortuna, che una volta giri dalla nostra parte e non ci mostri sempre beffardamente le terga. Come a dire: di te non me ne frega niente, ne hai combinate tante questa estate in chiave mercato, che non meriti non solo i miei favori ma neanche la mia pietà. Ed è giusto ammetterlo: questa situazione ce la siamo costruita con le nostre mani, altro che solo sfortuna e colpi di mano del povero Garcia: tre allenatori, due direttori sportivi, un amministratore delegato che dura appena quattro mesi: troppi rimpasti per capire bene di che si tratta. E noi, evidentemente, l’abbiamo capito tardi, forse troppo tardi, che così facendo saremmo finiti in serie B. E anche se Malesani alla fine si dice fiducioso, perché “la squadra ha fatto molto meglio che col Pescara”, io temo, fortemente temo, che non basta far meglio, che per salvarsi ci vuole un’impresa, quella che se succede, succede raramente (sennò che impresa sarebbe) e per la quale occorre remare tutti dalla stessa parte pensando che, stavolta, il timoniere è quello giusto, perché in passato ha portato in riva anche barche più malmesse del nostro amato, disperato Palermo.