CATANIA. Salvatore Giuffrida aveva messo in guardia tutti: la mancata restituzione di una macchina avrebbe potuto scatenare “gravi ritorsioni”, da parte di soggetti di alcuni paesi etnei a suo dire collegati alla famiglia mafiosa catanese dei Santapaola.
Giuffrida è uno degli indagati ed arrestati dell’operazione “Carback”.
Indagine condotta dal Procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dai Sostituti Antonella Barrera e Andrea Norzi e che ha visto in campo i militari del Comando provinciale dei carabinieri.
Tra le pagine dell’ordinanza imbastita pagina per pagina dalla Gip, Anna Maria Cristaldi, sono le conversazioni tra Salvatore Alberto Tropea e Antonino Santonocito che raccontano in avvio d’indagine quale fosse il metodo dell’organizzazione dedita ad attività legate al furto di autoveicoli, che si sviluppavano poi in estorsioni: i cosiddetti cavalli di ritorno.
La regola dei tre giorni
Ma, si diceva, dello sgarro del furto e della possibile ritorsione. Tutto parte da un patto che non andava infranto in alcun modo.
Leggendo tra le carte, si viene quasi ispirati da un qualche lungometraggio in stile hollywoodiano: “Prima regola del Fight Club: non si parla del Fight Club”. In questo caso, la regola c’era e come.
Tutti i gruppi operanti nel settore dei furti di auto, infatti, prima di disporre del mezzo rubato, attendevano almeno tre giorni, per assicurarsi la possibilità di rimediare ad eventuali torti, arrecati a personaggi di particolare caratura criminale.
E capita, come raccontato all’inizio, di incappare nel soffiare la vettura a qualche intoccabile.
Nel caso in questione, nel corso di uno specifico dialogo si comprendeva anche “il ruolo dei fratelli Fabio e Christian Riccio ed il rapporto, finalizzato alla commissione di furti, esistente tra quest’ultimo e Gabriele Pappalardo, il quale, per evitare qualsiasi problema, si dimostrava sempre contrario a “tagliare” (smontare le autovetture al fine di riciclare i ricambi) le autovetture rubate”.
Tuttavia, la contrapposizione di Pappalardo più avanti sembra allentarsi e Gabriele Francesco Giuffrida racconta a Massimo Ferrera che il padre stava avendo dei problemi con Christian Riccio e Gabriele Pappalardo perché avevano rubato la Fiat 500 X di un suo amico e non la volevano restituire, essendo interessati alla vendita dei gruppi ottici dell’auto.
Il prezzario dei modelli
L’inchiesta rivela anche il prezzario legato ai “cavalli di ritorno”. Il riciclaggio di alcuni modelli di autovettura, come le Jeep Compass, consentiva, ad esempio, cospicui guadagni con rischi limitati e circoscritti al solo eventuale controllo da parte di personale specializzato della Polizia Stradale. In una conversazione tra Pappalardo e Condorelli emerge che la cessione, ad un soggetto non meglio identificato e dedito al riciclaggio di automobili, una Jeep Compass fruttò 1.500 euro.