E poi, senza preavviso, arrivano queste bocche spalancate dai sottoscala del mondo. Vogliono una vita normale, la vogliono subito. Sotto il peso della richiesta, gli scogli di Lampedusa si piegano. Laggiù è tutta una trincea, il punto di contatto della tragica storia, il luogo di frizione tra i poveri che non intendono essere più tali e gli opulenti che non l’avevano previsto. Don Stefano Nastasi è il parroco in prima linea, il prete di Lampedusa. Ci sentiamo di sera, dopo che ha terminato l’ultimo giro di ronda. Al telefono la voce di un uomo stanco, preoccupato e cortese.
Don Stefano, com’è la situazione?
“E’ un’emergenza umanitaria senza precedenti. Non siamo preparati, si rischia la catastrofe. Veglieremo ancora stanotte e domani mattina. Veglieremo per tante notti. Abbiamo ospitato le persone in parrocchia. Ora sono al centro riaperto, che sta scoppiando”.
In che condizioni sono i migranti?
“Buone. Qui dobbiamo capire che non ci troviamo davanti ai soliti protagonisti degli sbarchi, alla quota di poveretti che ci prova ogni anno. Questa è gente che aveva un lavoro a casa e non sarebbe mai partita senza la crisi politica e la violenza dei paesi d’origine. Ci sono professori, impiegati… Non siamo ancora preparati ad affrontare un flusso del genere”.
E’ l’evento più grave da quando lei è parroco?
“Lo è in assoluto. Nessuno qui ricorda una cosa di questo tipo”.
Come avete reagito, don Stefano?
“Abbiamo cercato di tamponare l’urgenza e di sostenere i migranti con le risorse di cui disponiamo, non moltissime in verità”.
Come la vede?
“Se il flusso non si ferma saranno guai seri. Le ripeto: è la prima volta che succede. Siamo impreparati”.