Sicilia, nuove leggi e rebus insularità: le opportunità - Live Sicilia

Sicilia, nuove leggi e rebus insularità: le opportunità

Quali opportunità di crescita per la l'isola e quali scelte politiche per attuarlo
L'ANALISI
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Il 2022 è stato l’anno in cui l’attenzione verso la questione dell’insularità ha trovato formale riconoscimento sia a livello nazionale che europeo.

A seguito della riforma costituzionale del 2001 sul federalismo fiscale che, riformulando l’art. 119 della Costituzione, aveva soppresso l’esplicito riferimento al Mezzogiorno e alle Isole, il tema dell’insularità è tornato nella nostra Carta con la legge costituzionale 7 novembre 2022, n. 2, nata da un proposta di legge di iniziativa popolare,  che ha introdotto un nuovo comma che esplicitamente prevede che “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”.

Pochi mesi prima, il 7 giugno scorso, il Parlamento europeo aveva approvato a larghissima maggioranza un’importante risoluzione con la quale si riconosce “l’insularità come uno svantaggio strutturale permanente “ e si invita la Commissione a formulare un “piano di azione europeo per le isole” e a “creare una strategia per le isole corredata da proposte concrete”  in diversi ambiti per superare gli ostacoli di diversa natura che la condizione geografica delle isole comporta.  

Nel dibattito politico e giuridico nazionale ed europeo i “costi” dell’insularità sono stati riferiti soprattutto al settore dei trasporti (maggiore complessità nelle connessioni con la terraferma, di persone servizi e merci, necessità di assicurare la continuità territoriale), all’ambiente (ecosistema fragile, particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e a fenomeni quali l’erosione della costa, la siccità, i flussi turistici incontrollati e la scarsità di risorse, che si collega alla dipendenza energetica con la terraferma), alla ridotta attività economica (minore diversificazione delle attività economiche, specializzazione in settori economici a limitato valore aggiunto o caratterizzati da una consistente stagionalità, minore competitività delle imprese legata ai maggiori costi delle materie), alle consistenza demografica e lavorativa ( spopolamento, migrazione di giovani e donne e conseguente invecchiamento della popolazione)  e aggiungerei anche alla Sanità (precarietà della continuità assistenziale) e all’istruzione (disagi nella continuità formativa).

Nell’insieme tutto ciò rappresenta il sintomo più evidente del divario e del disagio insulare destinato a condizionare profondamente l’esercizio dei diritti di uguaglianza, della libertà di movimento e d‘iniziativa economica delle persone, pilastri fondamentali della nostra Costituzione e dell’Unione Europea.  

Il tema, in realtà, non è affatto nuovo.

A livello nazionale, prima ancora dell’introduzione del nuovo comma, per dare compiuta attuazione art. 119 della Costituzione nella parte in cui prevede la destinazione di risorse aggiuntive e interventi speciali da parte dello Stato in favore di determinati territori “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali e per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona” e, a livello europeo, per applicare la previsione dell’art. 174 TFUE, che prevede che “per rafforzare la coesione economica europea, sociale e territoriale è necessario ridurre le disparità tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e delle isole, che sono considerate tra le regioni meno favorite”, si sono per anni susseguiti accordi, accordi quadro, programmi, intese, risoluzioni, normative multilivello, tutti volti a ridurre gli svantaggi dell’insularità ma non sembra che ciò si sia mai tradotto in un concreto, visibile ed apprezzabile beneficio per gli abitanti delle isole.

Come sanno bene i cittadini della Sicilia e della Sardegna e delle altre isole minori che continuano a pagare sulla loro pelle, innanzitutto, l’inammissibile deficit di collegamenti con la penisola e le tradite promesse per uno sviluppo economico e sociale mai seriamente pianificato e strutturato.

Con le innovazioni normative attuate lo scorso anno muta, comunque, il quadro giuridico perché, da una parte la legislazione statale potrà essere scrutinata in termini di costituzionalità, sotto il profilo della ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza, rispetto al dovere dello Stato di “promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”; dall’altra, la risoluzione del Parlamento europeo ha una rilevantissima valenza politica in quanto sollecita la Commissione “ad effettuare una valutazione dinamica dell’art. 147 TUFE” per attuare la previsione nella sua massima vis espansiva come base normativa per la realizzazione  “di una vera e propria agenda per le isole europee”.  

Vi sono, dunque, tutte le condizioni giuridiche per un salto di qualità per affrontare efficacemente il delicato tema dell’insularità con interventi idonei a contenere gli effetti pregiudizievoli della “separatezza” geografica.  


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