Quelli che… la disaffezione | dei siciliani alla politica - Live Sicilia

Quelli che… la disaffezione | dei siciliani alla politica

Molte analisi individuano i siciliani come una massa indistinta, unita semplicemente dal collante del disprezzo verso la "casta". Proviamo a disaggregare questa massa apparentemente uniforme e a categorizzare i cittadini dell'Isola.

PALERMO – Le analisi sul rapporto tra i siciliani e la politica in genere privilegiano il “racconto” di quest’ultima; guardano alle gesta dei suoi protagonisti, alle espressioni di potere o alle dinamiche di transizione ideologica, e fanno riferimento all’altra parte del rapporto, i siciliani, come a una massa indistinta, unita semplicemente dal collante del disprezzo verso la “casta” dominante oltre che dal trasversalismo del voto clientelare.

Proviamo in maniera necessariamente sommaria a disaggregare questa massa all’apparenza uniforme. La conclusione alla quale giungeremo è che nel rapporto con la politica i siciliani esprimono interessi ed egoismi assai diversi, una sorta di sovra individualismo, per usare un termine di moda. E forse questa è la causa prima di una serie di fratture nelle tradizionali aree di destra, centro e sinistra che favoriscono solo consociazionismi deleteri in termini di cambiamento.

Andiamo ad esemplificare distinguendo i siciliani in:

Quelli che nella vita pensano solo al weekend e alle vacanze…
Fascia di reddito alta, proiezioni professionali in altre città, estraneità totale alla politica siciliana salvo per quanto riguarda materie urbanistiche, trasporti, ordine pubblico. Parola d’ordine: mi tengo fuori da questi casini. Marcata accentuazione di tutte le caratteristiche durante la stagione estiva nella quale l’attenzione alla cosa pubblica crolla del tutto e ci si concentra sull’annoso problema se sia meglio restare alle Isole o espatriare.

Quelli che professano apertamente estraneità alla politica, ma in privato…
Fascia di reddito medio-alta, percezione di rendite grazie ad attività professionali. Interessati alla gestione di strutture (sanità) ed all’esecuzione di lavori pubblici. Collegati sotterraneamente alle correnti politiche che curano questi settori, sostenitori accaniti di una loro continuità nel tempo.

Quelli che pensano alla Confindustria come redentrice della Sicilia…
Fortemente convinti che, data l’inadeguatezza della politica, il governo della Regione è “cosa loro”, ma infelici nella scelta di prestanome per questa assunzione di responsabilità che, tutto sommato, potrebbe costituire una alternativa tecnocratica a palesi incompetenze dei politici di professione.

Quelli che pensano alla politica in termini di affari…
Dal letame nascono i fiori, dice una canzone. Affari possibili in Sicilia nel settore dell’energia alternativa, dello smaltimento dei rifiuti, della sanità, dell’agro industria. Sempre impegnati nelle ricerche e nel sostegno al referente giusto, in contatto con i colletti bianchi della mafia, una vita vissuta all’insegna del “Francia o Spagna purchè se magna”.

Quelli che lavorano nel commercio e nell’artigianato…
E brancolano alla ricerca di rappresentanza e legami col potere locale. Le vere vittime della crisi.

Quelli che costituiscono il ceto della conoscenza…
Pavidi ed incapaci di trasferire le loro esercitazioni dialettiche dalle aule alle tribune politiche. Non perdono occasione per stigmatizzare con veemenza la politica, dalla quale, tuttavia, ambirebbero essere cooptati: grilli parlanti privi di autoironia, costretti dal ruolo a dedicare al potere moralismi d’occasione e occulta concupiscenza. Tra loro, militi ignoti degni di medaglia al valore, ci sono quelli che animano con sacrificio il sistema scolastico.

Quelli che costituiscono il ceto impiegatizio…
Contro tutto e tutti. In parte bravissimi, in altra parte dediti al “solitario” dei computer. Al momento resi più forti dalla crisi, essendo rapidamente passati nella pubblica considerazione da “quelli a reddito fisso”, sconsigliati alle figlie come possibili mariti, a “quelli così fortunati che hanno un reddito fisso”. Proprio per questo, sommamente avversati “dal basso”, mentre restano afflitti, dall’alto, dalla pressante richiesta di doversi “posizionare “ politicamente a scadenze continue.

Quelli che lavorano nelle fabbriche…
Impegnati in scioperi, occupazioni, viaggi a.r. a Roma, rinnovi di cassa integrazione. Classe di protesta più che di lavoro.

Quelli che costituiscono il precariato…
Alla ricerca del miracolo di passare al ruolo di “effettivi” chiesto indifferemente a santa Rosalia o al boss politico di turno. Equilibristi nel trovare occupazioni aggiuntive, salari in nero, transiti nel sommerso. Drammaticamente ignari del futuro depauperamento che li attende.

Quelli che te lo do io il lavoro…
Inoccupati, disoccupati, stagisti, che se convogliassero unitariamente i loro bisogni costituirebbero una forza politica e sociale della quale tener conto, e invece imboccano vie traverse ancora alla ricerca del “posto” più che del salario.

Quelli che si identificano nella Chiesa…
Rifiuto di protagonismo. Tolleranza nei confronti di cerimoniali paganeggianti utili alla fidelizzazione. Levano estemporanee grida contro la disuguaglianza ma tacciono sui soggetti che la determinano, con solitarie eccezioni come i gruppi che fanno capo a riviste (Segno) o centri culturali di formazione (Istituto Arrupe). Sponsorizzano parrocchie alla ricerca di finanziamenti discrezionali ex articolo 38. Una sorta di Tabella H “taci maci” gestita dal Presidente della regione. Totale assenza di figure carismatiche presenti nel passato, quali Pintacuda o Sorge. Credono nella superiorità della propria razza sopra tutte le altre, non bestemmiano ma pronunciano invano il nome di Dio decine di volte al giorno. Sono convinti del fatto che andranno in paradiso mentre tutti gli altri intorno a loro bruceranno all’inferno. Non si perdono un funerale, matrimonio, battesimo, comunione e qualsiasi altra forma di rituale religioso. Prendono seriamente posizione solo se gli parli di musulmani o di matrimoni gay. Ovviamente, con le dovute eccezioni di coloro (e non sono pochi) la cui professione di fede è reale e sincera.

Quelli che ancora ci credono…
In effetti, avevamo il dubbio se aggiungere o meno questa categoria, data la sparutissima minoranza che rappresenta, talmente esigua che un vecchio comunista trovò scritto nel garage di casa “Dobbiamo proteggerti. Sei in via di estinzione come il panda”. Tuttavia pare che ci sia ancora chi, più che credere, spera (o sogna) che in Sicilia con la politica si possa cambiare qualcosa, e continua a provare a rispondere al quesito: sono i siciliani che se ne fregano della politica o è la politica che se ne frega dei siciliani?

Un’ultima osservazione. Abbiamo volutamente parlato di politici e politica senza alcun approfondimento, convinti che in Sicilia, come nel resto del Paese, la politica non sia che una rappresentazione falsata del potere, e che non ci sia ormai altra politica se non quella gestita dai cosiddetti poteri forti. Per usare una metafora geometrica, catene verticali, tra loro parallele, che intersecano tutti i partiti politici da quando i comitati d’affari hanno sostituito le ideologie. E quale sia il rapporto dei siciliani con tali catene, al di là delle manifestazioni diffuse di sfiducia e disistima rispetto ai singoli uomini politici, che pur tuttavia votano, è ancora oggetto di studio. Si accettano suggerimenti.

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