Fuga dall'Afghanistan: viaggio tra i rifugiati di Sigonella - Live Sicilia

Fuga dall’Afghanistan: viaggio tra i rifugiati di Sigonella

La base militare della marina statunitense impegnata nell'evacuazione di migliaia di persone dal paese asiatico.

CATANIA – Dopo che l’ultimo portellone si è chiuso e l’ultimo aereo è decollato da Kabul, la scena dell’evacuazione statunitense dall’Afghanistan si sposta in Sicilia, a Sigonella. Nella Nas, la Naval Air Station americana, sono in corso in questi giorni le imponenti operazioni logistiche per accogliere migliaia di afghani in fuga dal nuovo regime dei talebani, vestirli, nutrirli e sbrigare tutte le formalità necessarie per mandarli al sicuro, negli Stati Uniti. Un passaggio obbligato, quello di Sigonella, dove arrivano e vanno via persone i cui destini sono stati decisi a Kabul e Washington.

La stazione di transito

La base militare catanese è stata coinvolta ufficialmente nelle operazioni di evacuazione dall’Afghanistan il 22 di agosto, con l’arrivo dei primi C-130 carichi di sfollati. Dopo il via libera da parte del governo italiano, da cui dipende l’intero aeroporto, le operazioni logistiche sono state prese in mano dalla Us Navy con la collaborazione dell’Aeronautica militare italiana. In dieci giorni a Sigonella sono arrivate quattromila persone secondo quanto riferisce il comandante della base, il colonnello pilota dell’Aeronautica militare italiana Howard Lee Rivera. Al momento però, tra i tendoni e gli hangar di Nas 1, la zona dell’aeroporto, sono presenti circa tremila afgani, arrivati con voli regolari da Kabul e in attesa di imbarcarsi per Philadelphia o la zona di Washington.

“Si tratta soprattutto di personale la cui incolumità è in pericolo in seguito all’arrivo dei Talebani”: una rappresentante del Dipartimento di stato statunitense, distaccata dall’ambasciata a Roma, precisa che per molti degli arrivati a Sigonella si valuta la concessione del Siv, lo Special immigrant visa concesso ad afgani e iracheni che hanno lavorato con il governo statunitense o che sono stati coinvolti in lavori per conto del governo, e che dunque per questo sono a rischio di ritorsioni. “Tra di loro – continua la donna del Dipartimento di stato – ci sono interpreti, professionisti, consulenti politici ed economici, personale logistico. Secondo gli accordi con il governo italiano devono ripartire entro 14 giorni dal loro arrivo”.

Tra le migliaia di persone ci sono anche due minori non accompagnati, di 14 e 16 anni. Il personale di Sigonella si sta prendendo cura di loro, e “sicuramente ci occuperemo di loro anche una volta che saranno arrivati negli Usa”, precisa il contrammiraglio Christopher Gray, comandante della Marina statunitense per la regione europea e africana, che sottolinea come sia stata “un’esperienza davvero gratificante portare avanti questa missione, sentire la riconoscenza di queste persone e i loro sorrisi una volta arrivati qui”.

“Non potrei essere più orgoglioso dei miei uomini – dice il capitano di vascello Kevin Pickard, comandante della Naval air station – ed è stato sorprendente lo sforzo di solidarietà fatto da famiglie e associazioni civili, che ci hanno donato tantissimi materiali e cibo per aiutare i rifugiati. Ci sono stati dei bambini arrivati con vestiti laceri, senza scarpe e in condizioni igieniche precarie: avevano bisogno di ogni cosa utile alla sopravvivenza”.

Ma delle prospettive degli afgani, sia dei minori non accompagnati che di chi già lavorava per gli statunitensi a Kabul, nessuno è in grado di parlare. “Questa è una stazione di transito” sottolinea più volte la rappresentante del Dipartimento di stato, “di quello che succederà dopo bisognerebbe chiedere a Washington”.

Organizzazione

Due grossi hangar vicini alla pista sono stati adibiti a scalo aeroportuale per chi arriva dall’Afghanistan e chi riparte, con la precisione ammirevole e muscolare della macchina logistica statunitense. Nell’hangar riservato agli arrivi, gli sfollati ricevono subito assistenza medica, con test Covid e visite da parte di infermieri per verificare lo stato di salute. Nello stesso stanzone vengono poi rifocillati con frutta e acqua e divisi per gruppi, per occuparsi delle diverse storie di ciascuno. Le operazioni, infatti, impegnano diverse agenzie del governo americano, da quella delle dogane alla sicurezza dei confini, dall’FBI alla difesa, che prendono in carico ogni persona e si occupano delle formalità, dei documenti e dello status di ciascun rifugiato, valutando se è possibile conferire il visto di sicurezza per il personale che ha collaborato con gli Stati Uniti.

Rifugiati afgani in partenza dall’aeroporto di Sigonella

Nei pressi dell’altro hangar, quello riservato alle partenze, sono parcheggiati un grosso aereo da trasporto militare e un Boeing dell’American Airlines. Le persone con i documenti in mano si accalcano o semplicemente attendono di essere chiamati da un altoparlante che scandisce senza una pausa nomi e cognomi, mentre altro personale statunitense va in giro con risme di fogli stampati con delle griglie, nomi su nomi, numeri su numeri. Tutto si svolge nell’ordine, l’unico rumore è quello degli altoparlanti e dei motori degli aerei.

Attesa

Arrivati dall’Asia, diretti in America. Il destino dei fuggitivi da Kabul è stato deciso altrove, Sigonella è solo la prima stazione di una organizzatissima, militare, precisa, potente ritirata. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha sottolineato più volte, nei giorni scorsi, che gli USA che non erano andati in Afghanistan per costruire una nazione, eppure le quattromila persone arrivate in dieci giorni solo a Sigonella contraddicono questa versione. Non si ingaggiano migliaia di persone per venti anni solo per fare la guerra al terrorismo. Nessuno, tra gli sfollati della base siciliana, dice di essere deluso dal governo statunitense, ma tutti dicono che si aspettano un aiuto, quando saranno nella loro nuova casa. Per un lavoro, per ricostruirsi una vita. Hanno bisogno di quella protezione di cui hanno goduto per venti anni, fidandosi.

Nel frattempo, la sola cosa da fare nell’aerostazione navale degli Stati Uniti è attendere. Tra i capannoni e le strutture operative sono stati piazzati dei tendoni in cui pregare e dormire, con aria condizionata e brande, e tra i campi le persone si aggirano senza sapere bene cosa fare, cercando il più possibile un riparo dal sole ancora prepotente o osservando i bambini, gli unici a muoversi, insieme a qualche marine, con una palla in mezzo a un prato.

Fare passare il tempo, aspettare, è l’atteggiamento prevalente di Sigonella. Nessuno sa bene cosa avverrà dopo la partenza dalla base siciliana. Gli unici che sembrano avere una speranza, più che un’idea, sono i più giovani, quelli nati a ridosso dell’invasione americana e che quindi hanno potuto sperare davvero di poter continuare la propria vita con le poche libertà a cui erano abituati. Sperano di trovare un lavoro, di poter continuare a vivere e sorridere. Come facevano fino ad appena qualche mese fa.


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