CAPO D’ORLANDO (MESSINA) – La carica di un uomo che da tanti anni si porta sulle spalle una cittadina intera, dopo averla portata dall’inferno al paradiso del basket nazionale, e per ben due volte. Ora arriva il momento di misurarsi con una delle massime espressioni a livello continentale, quella Champions League che verrà affrontata fin dal turno preliminare, perchè non c’è niente di più bello che arrivare all’apice partendo dalle fondamenta, dalla base. Enzo Sindoni è ormai sinonimo di Orlandina Basket, e lo è sia in quanto proprietario e presidente del club, sia per la mentalità e il temperamento con cui lui in prima persona, e tutta la formazione paladina affronta senza paura e con tante cicatrici ogni singola partita, domenica dopo domenica. In esclusiva per Live Sicilia Sport, il patron della Betaland Capo d’Orlando ha voluto riavvolgere il film di una stagione fantastica, conclusa con la partecipazione alla Final Eight di coppa Italia e al playoff scudetto – con tanto di prima vittoria assoluta ottenuta in post-season contro Milano, fino alla qualificazione proprio nella coppa europea. E proprio dall’apparizione in Champions League parte il futuro, sempre più roseo, della formazione paladina.
Partiamo da ciò che si è appena concluso: una stagione fantastica, storica. Come l’ha vissuta in qualità di presidente e uomo che ha allestito tutto questo?
“Sicuramente la stagione più positiva della nostra storia, non voglio dire inaspettata perchè il valore della squadra ci era noto ma comunque oltre le nostre aspettative. Abbiamo raggiunto cinque traguardi che indicano la straordinarietà di questa stagione: la salvezza, che era l’obiettivo fissato all’inizio; il raggiungimento delle Final Eight di coppa Italia; il raggiungimento dei playoff; il riconoscimento ad un nostro tesserato, ovvero Giuseppe come miglior dirigente dell’anno; la vittoria sul parquet di Milano in gara1 dei playoff, con la quale abbiamo davvero toccato il cielo. È il coronamento di un progetto tecnico e di una filosofia sulla quale ci siamo concentrata. La squadra era più europea, non solo come collocazione geografica ma anche come costruzione del nostro gioco, che ci ha consentito di andare oltre le nostre limitazioni in termini di budget”.
E poi c’è il sesto obiettivo stagionale raggiunto, ovvero la qualificazione in Champions League.
“Quindi mi tocca correggermi, i traguardi sono sei. Non so perchè l’ho collocata nella stagione prossima, visto che in realtà deriva proprio dai traguardi raggiunti in quella appena conclusa. Ci siamo regalati un’occasione assolutamente storica, mai una squadra siciliana maschile ha partecipato a una competizione europea. E poi ora possiamo fare un upgrade in termini sia societari che tecnici, ma è una sfida che vogliamo affrontare”.
Dopo questa stagione, c’è un senso di rivalsa verso chi dava l’Orlandina, all’inizio della stagione, come la principale candidata alla retrocessione?
“Devo dire di no, e spiego perchè. C’è un detto venezuelano al quale mi ispiro sempre, e che dice “mettiti nelle mie scarpe”, ovvero mettiti nei miei panni. E io cerco sempre di mettermi nelle scarpe degli altri. Se mi metto nelle scarpe di chi fa pronostici e dà giudizi, non posso non catalogare la dimensione di Capo d’Orlando come una che possa far pensare ad un ruolo da cenerentola. Non ho un senso di rivalsa, ma mi fa piacere sottolineare che non basta avere le risorse, è importante saperle indirizzare. Noi quest’anno abbiamo valorizzato e portato alla ribalta giocatori di primo livello, come ad esempio Fitipaldo, Delas, Tepic. Se la considerazione di chi fa i pronostici è legata alle dimensioni delle piazze, allora ci sta. Se invece ci fosse più attenzione e competenza, non dico che Capo d’Orlando dovesse essere considerata da playoff, ma nemmeno avrebbe meritato quella collocazione. E la nostra stagione non si basa su imprese sporadiche, abbiamo fatto una stagione di grande livello: ad esempio abbiamo inflitto a Cantù la sconfitta più larga della loro storia, che è immensa; ricordo partite a Torino, a Brescia, a Cremona, ma anche la sconfitta al debutto con Milano. Abbiamo meritato quanto abbiamo raggiunto”.
Ha annoverato tante partite, ma qual è quella che si porta dietro con maggiore soddisfazione, anche come simbolo della stagione?
“Sicuramente quella di Torino, vinta con la tripla allo scadere di Stojanovic. E non solo perchè le partite vinte allo scadere di lasciano dentro qualcosa in più, ma anche perchè la squadra, in quella partita, ha avuto mille ragioni per cedere. Problemi fisici nostri, decisioni arbitrali controverse, situazioni ambientali e qualità degli avversari: tutte situazioni per le quali potevamo inginocchiarci, finire all’angolo, ma siamo stati bravissimi a reagire e a colpire l’avversario. Ricordo quella partita come la prova di maturità, insieme a quella di Brescia in cui abbiamo dimostrato carattere e siamo anche stati fortunati. Abbiamo sfruttato le nostre debolezze come una nostra forza. Tutti i giocatori hanno saputo esprimersi al meglio, Fitipaldo fece una prova monstre e secondo me fino a quel momento della stagione ha dimostrato di essere l’MVP della stagione”.
E poi c’è il lavoro di coach Di Carlo. Anche lui un simbolo: stagione al primo anno in corsa, riconfermato in panchina e capace di sfoderare una grande annata. La fiducia di società e squadra può averlo aiutato a mostrare le sue abilità?
“Faccio un passo indietro a suo proposito. Quando scelsi di puntare su Gennaro, lo feci in primis per le sue qualità umane. Non nel senso di puntare su un’ottima persona, quale effettivamente è, ma per i valori che gli hanno consentito di sposare appieno la nostra filosofia. Confermandolo alla fine della scorsa stagione ho voluto dare un segnale anche ai giocatori, sul tipo di lavoro e sulla filosofia che avremmo adottato. È molto piacevole lavorare con lui, c’è sintonia di valori nella costruzione e nella filosofia di gioco. Lui sa di non essere un allenatore a termine, lo ha compreso e ne ha fatto la sua forza. Può insegnare il suo credo cestistico, fatto di grande competenza ma anche solido, in quanto condivide le nostre scelte, pur non essendo un aziendalista. Lui sa che le nostre scelte vanno bene, e su queste imposta gran parte del suo lavoro. Anche la sua conferma appariva come un elemento di debolezza, oggi in molto ammettono che il lavoro di Gennaro e la capacità di Giuseppe (il figlio-ds, ndr) di costruire un roster secondo la nostra filosofia siano stati dei punti di forza”.
A proposito del lavoro di Giuseppe Sindoni: quali sono i suoi segreti e le sue qualità?
“Ha un grande merito, ovvero la capacità non solo di guardare dove altri prestano poca attenzione, ma anche di guardare orizzonti che altri non hanno nemmeno voglia di guardare. Questo è segno di competenza che sono contento che gli sia stata riconosciuta, e che ha inorgoglito tutto il nostro ambiente. Tutto parte dalla qualità del suo impegno: anche passando da un campetto in motorino, o aprendo una pagina del campionato ungherese ad esempio, il suo occhio è stato attento e analitico. Poi ci sono i doni, che derivano dal suo amore per il basket ma anche dalla capacità di ricordare una quantità impressionante di dati. Oggi in lui vedo un professionista straordinario, ma ricordo in lui un ragazzino al quale dovevo dire di spegnere il computer e di smettere di guardare il basket, perchè doveva studiare (ride). La sua capacità è quella di vedere oltre e di guardare ciò che altri non guardano. Per giocare a Capo d’Orlando l’aspetto umano, etico e motivazionale sono tutti fondamentali, e se ne facciamo una costante si tratta di qualcosa che resta dentro a chi gioca qui. Chi passa da Capo d’Orlando sa di poter diventare membro di qualcosa di importante. Ho salutato con gli occhi lucidi, ad esempio, Flavio Fioretti, che è stato assistant coach di grande livello e che è diventato un uomo speciale per via del rapporto nato in questo territorio”.
A tutto questo si aggiunge un rapporto speciale con Betaland. Nella recente conferenza stampa sono emerse parole importanti, come ‘famiglia’. Come nasce e come si evolve questo rapporto?
“Mentre in termini commerciali ci viene da sorridere per il modo in cui operano altre realtà ben più ricche, d’altro canto riteniamo che il valore di un rapporto di lavoro abbia una missione, ma tutto non può prescindere dai valori ai quali ho sempre ispirato un mio gruppo di lavoro, e non solo nello sport. Uno di questi valori è la famiglia, che per me in ambito aziendale è il livello di affinità e la convivenza nel lavoro. Se io vedo condivisione e attenzione nel lavoro, ecco che la mia azienda diventa una famiglia, perchè trasferiamo i valori che troviamo anche nelle nostre case. Con Betaland è successo questo: la nostra prima trattativa si è chiusa quasi in fretta, quindi non ci siamo conosciuti più di tanto e siamo stati portare a mostrare il meglio di noi stessi. La loro grande cultura sportiva è stata determinante, e la loro dinamicità ci ha aiutato. Ho provato grande emozione nell’ascoltare un messaggio audio del capo di Betaland dopo la vittoria a Milano, era felice quasi più di me. Non ci poniamo limiti nelle nostre ambizioni, con tutti questi presupposti”.
Indipendentemente dalla Champions League, la società dovrà fare dei cambiamenti in termini di roster. Cosa ci si può aspettare sul piano delle scelte che verranno fatte in estate?
“Posso assicurare che la nostra filosofia non cambierà, resteremo su una pallacanestro più europea, non solo come provenienza geografica ma anche come valori. Sarà questo il nostro principio per il progetto tecnico, che ha una continuità che parte dal coach oltre che dal direttore sportivo. Non farò nomi, sia perchè tante trattative sono in piedi sia perchè stiamo valutando eventuali riconferme, ma credo che la costruzione della squadra debba ripartire dagli italiani e da alcuni punti fermi, come Stojanovic e Ihring che secondo me sono i migliori Under 20 del campionato. Ripartiremo dallo schema 3+4+5. Ho parlato di Archie: chi non vorrebbe confermarllo? Però sul mercato lui sa di poter guadagnare anche il triplo di quanto garantisce Capo, anche al di fuori del nostro campionato (in queste ore Dominique sta definendo il suo trasferimento in Israele). Il nostro mercato non si fa all’asta con altre squadre, ma basandosi sulle scoperte di giocatori e sul rilancio di giocatori all’apparenza in parabola discendente. L’approdo in Europa ci rende più appetibili, in molti ci chiedono un confronto e un riscontro in merito alla possibilità di approdare a Capo d’Orlando. La nostra filosofia è inquadrata al meglio, credo che riusciremo ad avere la squadra al completo già in avvio di ritiro, quindi a metà agosto in modo da averla già rodata a fine settembre per il preliminare di Champions”.
Chiudiamo con la questione relativa al palazzetto, visto che entrerà in vigore la norma FIP sulla capienza minima per partecipare ai playoff. Cosa ci può dire in merito a un eventuale restyling del PalaFantozzi o la nascita di un nuovo impianto?
“Partiamo dalla norma, partendo da un dato. Esclusa Milano, la media spettatori della regular season è inferiore ai 3.100 spettatori. Ho analizzato solo quarti e semifinali dei playoff, e sempre esclusa Milano non si arriva a 3.300 unità. Io penso che ci fossero delle questioni più importanti da risolvere per quanto riguarda il nostro basket, ad esempio in merito al livello qualitativo. Per quanto riguarda il nostro palazzetto, nel 2011 avevo avviato un processo di idee per poter realizzare qualcosa di nuovo in un’area già ben definita. Per quel che posso dire, Capo d’Orlando è pronta e io in primis sono pronto a far partire un progetto che non può superare i 5 milioni e mezzo di euro. Credo che rispetto ad altre realtà siamo avanti su questo aspetto”.