PALERMO – È la storia di un figlio non riconosciuto, degenerata in presunte minacce per spingere una donna ad abortire e violenza privata, ma anche la storia di un licenziamento usato come arma per zittire la donna e non fare venire a galla lo scandalo della relazione clandestina.
Agli arresti domiciliari è finito Rosario Basile, 74 anni, presidente della Ivri, società che controlla Ksm, leader nei servizi di vigilanza privata. È indagato per istigazione alla corruzione, calunnia, minaccia e violenza privata. Assieme a lui è finito agli arresti domiciliari anche Francesco Paolo Di Paola, consigliere delegato di Ksm (minaccia e violenza privata sono i reati ipotizzati nei suoi confronti). Indagati pure la segretaria di presidenza, Marcella Tabascio (minaccia), il responsabile commerciale Mario Sganga (minaccia) e il dipendente Antonino Castagna (violenza privata).
Completa l’elenco degli indagati, il maresciallo dei carabinieri Salvatore Cassarà, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio: avrebbe passato notizie riservate a Basile sull’indagine in corso a carico della donna. Basile, Di Paola e Tabascio, sono accusati di avere falsificato alcuni sms fra la madre del bimbo e un collega, come lei dipendente della Ksm. L’obiettivo era giungere al loro licenziamento avvenuto nel 2015. I tre, secondo l’accusa, sarebbero anche i responsabili dei maltrattamenti subiti da un’altra dipendente, obbligata a indagare abitudini e frequentazioni sessuali della mamma del bimbo.
È stata la donna a raccontare ai carabinieri quello che sarebbe stato il piano ordito dal patron di Ksm per screditarla con “false minacce e false prove”. Ai magistrati, infatti, ad un certo punto Basile disse di avere ricevuto dei messaggi dalla donna. Voleva soldi, altrimenti avrebbe fatto scoppiare uno scandalo per il figlio nato in clandestinità e del quale Basile disconosceva la paternità. I carabinieri convocarono la donna che da accusata divenne accusatrice.
Basile aveva allegato alla denuncia i messaggi ricevuti sul telefonino. Quando le contestarono il contenuto degli sms la donna cadde dalle nuvole: “Non li ho scritti io”. E per discolparsi riferì di non avere l’abitudine di utilizzare la k al posto di ch, abbreviazione tipica nel linguaggio da smartphone: “Guarda che io ho le prove, dimmi tu se vuoi arrivare ad un accordo, lo dico per te, ti conosce tutta Palermo e ki ci rimette sei tu, sono pronta ad accettare un compromesso”, “anke se i figli non è tuo sempre i soldi mi devi dare… telefonami e evitiamo gli scandali”.
Il pm Siro De Flammineis ordinò nuove indagini ai carabinieri. Si scoprì così che gli sms minacciosi ricevuti da Basile non erano partiti dal telefono della donna, ma attraverso un server on line dove ci si può registrare mantenendo l’anonimato. Una traccia, però, resta indelebile ed è la “postazione statica” da cui viene effettuato il collegamento al server. Si trattava di un computer delle rete utilizzata all’interno di Ksm. Particolare che fece venire meno la credibilità di Basile. A cascata, inattendibili diventarono anche le testimonianze di altre persone, fra cui alcuni dipendenti dell’agenzia di sicurezza, finiti pure loro sotto inchiesta.
Nel corso delle indagini sarebbero emerse le minacce subite dalla donna da parte di Di Paola e Castagna. Sarebbero stati loro a fare sapere alla donna che “la devi finire con questa storia del bambino perché altrimenti è peggio per te, se tu chiedi il test del Dna e risulta positivo ti facciamo sparire il bambino e faremo dii tutto per fare risultare che sei una prostituta”.
Infine c’è l’istigazione alla corruzione. Basile avrebbe pagato al carabiniere Cassarà, in servizio alla stazione Oreto, il prolungamento del soggiorno al residence Città del mare con l’obiettivo di accertare la presenza a Terrasini della donna e di altri dipendenti di Ksm. L’uomo in divisa sarebbe diventato una sorta di investigatore privato assoldato da Basile.