"Sognando il ritorno a casa" - Live Sicilia

“Sognando il ritorno a casa”

Dopo la lettera di un disoccupato al Nord, ecco un'altra testimonianza inviata da un lettore svelto (e bravo) di penna. Si racconta un disagio diverso: il disagio di chi il lavoro ce l'ha, ma deve prendere l'aereo per sopravvivere, diventando un pendolare del cielo. E il prezzo che si paga è altissimo.
Lettera di un pendolare del cielo
di
3 min di lettura

Le situazioni più palesemente innaturali possono sembrare perfettamente normali quando si accetta come assioma che i cittadini siano “lavoratori” innanzitutto e solo in seconda battuta, opzionalmente,  “persone”.
Vestito di un’aura di falsa emancipazione, si dipana con ritmo settimanale uno dei drammi della società siciliana contemporanea che lavora: quello dei pendolari delle tratte aeree nazionali, categoria a cui il sottoscritto appartiene.
Uomini e donne di Sicilia che la domenica sera, oppure il lunedì mattina, volano via verso le capitali dell’economia nostrana per lavoro, per poi ritornare a casa  il venerdì sera oppure il sabato mattina, sacrificando serate e cene con gli
amici (quando ritardano i voli di rientro il venerdì), belle domeniche pomeriggio al calore del tetto coniugale e familiare (quando si parte la domenica), intere nottate (quando il decollo è al mattino presto e l’ansia per la sveglia non fa chiudere occhio).
Siciliani forzatamente indotti a non portarsi dietro i doni che una volta erano tanto richiesti dai colleghi di lavoro: cannoli, cassate e dolci varii. Le compagnie a basso costo permettono sì viaggi frequenti che hanno abissalmente e definitivamente soppiantato i mezzi terrestri,  ma d’altra parte impongono patetiche restrizioni ai viaggiatori per eroderne gradi di libertà e indurne “passi falsi” (la valigetta che eccede di cinque centimetri?) per, quindi, poterne spremere soldi con la scusa del rispetto delle norme di “comfort del volo”. Le stesse restrizioni che finiscono per rimpinguare le casse delle certamente costose (ma nemmeno troppo scintillanti) aree di shopping degli aeroporti siciliani.
Padri forgiati dallo stress -gli occhi tormentati da tic- i cui bambini crescono a distanza, mentre loro sono via per il “sacrosanto lavoro”, sotto l’esclusiva egida delle mogli e -quando va bene- dei nonni; padri che non possono essere giornalmente partecipi né delle cose brutte né delle cose belle della vita dei propri bambini: dalla cura dell’influenza di stagione -non potergli tenere una mano sulla fronte per sentirne la febbre- all’assisterne al saggio scolastico.
Nemmeno le donne, inevitabilmente, sono esenti dal fenomeno. Donne alle soglie dei quaranta cui è toccata l’anticavalleresca sorte di avere mariti relativamente ben piazzati in Sicilia (quelli veramente ben piazzati le mogli le hanno a casa) le quali nutrono più o meno fondate speranze di “trasferimento per riavvicinamento di famiglia” e nel frattempo dissipano le loro energie e potenzialità materne.
C’è poi la folta schiera dei giovani di belle speranze: giovani neolaureati che già dall’alba sono al lavoro con brunettesca solerzia (i musi seri allungati sui computer ultra-vivaci) e si atteggiano nella loro ambizione di emancipazione e sfondamento, al motto di “cu nesci arrinesci”; giovani avvocatesse, in linea con le luccicanti tendenze dell’industria della moda. Infine alcuni figli di professori universitari che vanno a sciacquarsi i panni fuor di Trinacria nell’intenzione più o meno ipocrita di coprire con un velo di presunta iper-qualificazione il loro “segreto” piano di reinsediamento negli atenei di famiglia.
Passando i mesi e poi gli anni, tutti questi uomini e donne , tutti questi “lavoratori”, finiscono per divenire talvolta “amici di aeroporto”, le facce che si vedono sono sempre le stesse alle porte di imbarco, mesto segno che quella condizione di pendolarismo -versione aggiornata della bruta emigrazione di una volta- non sembra essere destinata a durata breve. Alcuni solidarizzano e ci scherzano sopra -e fortunatamente, tra ritardi e disagi di varia natura e le notizie di questa nostra bella Italia c’è sempre qualcosa di cui sorridere sul momento – altri affettano indifferenza.  La quasi totalità di questi siciliani accetta di buon grado questa condizione di precaria stabilità e tira avanti a muso duro, sempre trainati da quel sogno – forse impossibile – di poter tornare un giorno a casa dall’Odissea.

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