Sarò l'americano e il boss "come la Svizzera": destini diversi

Mafia, assolto ‘Saro l’americano’. Condannato un altro grande vecchio

Rosario Gambino e l'avvocato Anthony De Lisi
Una lunga storia criminale fra gli Stati Uniti e l'Italia

PALERMO – È vero che l’imputato e il suo difensore ci hanno sempre creduto, ma l’assoluzione di Rosario Gambino è comunque un colpo di scena.

In primo grado era stato condannato a sedici anni e mezzo. La Corte di appello ha inflitto sette anni ad Antonino Lo Presti. Confermata la pena di cinque anni per Gaetano Sansone.

Furono coinvolti nel blitz della squadra mobile che nel 2019 colpì il mandamento di Passo di Rigano dove si era registrato il ritorno al potere degli Inzerillo, scappati in America durante la guerra di mafia e via via rientrati in Sicilia.

Sono sereno. Lo sono sempre stato. Dopo tutto quello che ho passato, adesso mi godrò la mia famiglia”, disse Rosario Gambino, narcotrafficante ultraottantenne indagato da Giovanni Falcone il giorno che lo mandarono assolto a Palermo.

Era il 2014. In città c’era tornato dopo 55 anni. Rosario Gambino, nipote di Joseph, il capo dei capi della mafia americana emigrato oltreoceano. Cercava fortuna e trovò la morte.

Mentre la mafia ammazzava prima Falcone e poi Paolo Borsellino, Gambino stava scontando i 25 anni di carcere che gli erano stati inflitti in America. Nel dicembre del 2010 era stato condannato a vent’anni pure in Italia. Condanna annullata con rinvio dalla Cassazione. Da qui la necessità di celebrare un nuovo dibattimento di secondo grado che si concluse con l’assoluzione.

Quindi il rientro definitivo a Palermo di Saro l’americano, che si era stabilito nel rione Borgo Nuovo. Nel 2019 gli investigatori descrissero a sua esuberanza mafiosa che lo avrebbe portato a misurarsi con un altro grande vecchio, Gaetano Sansone.

Classe 1941, Tanino Sansone, più vecchio di nove anni del fratello Giuseppe, è un altro nome storico nella mafia palermitana. Già condannato per mafia e legato a Totò Riina, di lui i nuovi pentiti hanno detto che “è come la Svizzera”.

Nel senso che “praticamente se ne fregavano di fare riferimento a qualcuno, che loro praticamente non intendevano incontrare nessuno, quando avevano bisogno di qualche cosa se la risolvevano loro stessi, non andavano a cercare nessuno. Per Svizzera s’intendeva che non volessero fare riferimento a chicchessia, proprio questo specifico argomento era il senso di questa Svizzera, tra virgolette”.

L’avvocato De Lisi ha cercato di picconare l’accusa e ha fatto breccia nel collegio. Gambino ha pagato il conto con la giustizia in America, anche se a suo dire anche quella condanna “era ingiusta”. Secondo il legale, non c’erano elementi che giustificassero un nuovo processo in Italia. Solo suggestioni per via del suo passato.

C’è chi lo citava, ma Gambino sarebbe rimasto fuori da ogni gioco criminale. I giudici di appello hanno ribaltato il verdetto di primo grado.


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