Sparatoria e stupro: Catania non è questa ma dirlo non basta più

Sparatoria e stupro: Catania non è questa ma dirlo non basta più

Due episodi di violenza estrema. La città si interroga

CATANIA – Accade tutto proprio nel pieno dell’atmosfera natalizia e festosa. Non che la cruda realtà della cronaca nera abbia un preciso periodo dell’anno nel quale dare macabro sfoggio. 

Tra il luccichio delle luminarie e l’attesa di un Capodanno in nazionalvisione, Catania torna a interrogarsi come ha già fatto in tante altre e recenti (vedi i fatti della villa Bellini) occasioni.

Catania, sparatoria e stupro

Prima la sparatoria al Pigno il pomeriggio della vigilia di Natale: colpi d’arma da fuoco in mezzo alla strada, con le auto che muovevano a zig zag verso il vicino centro commerciale per acquisti in extremis. Poi la 36enne violentata e umiliata nell’area di uno dei simboli della città: gli Archi della Marina.

Catania non è questa. Non vi è dubbio alcuno. Ma Catania è, purtroppo, anche questa. Non va sminuito niente e non va nascosta alcuna polvere sotto il tappeto in nome della insopportabile litania del “è tuttapposto”.

Una città che aspira ad una nuova primavera, che punta su un’azione di rilancio e di riscatto, che – in fin dei conti – compie sforzi giornalieri sull’altare di una migliore vivibilità si ritrova a fronteggiare un codice primitivo che appartiene, certo, ad una minoranza. Ma che finisce col chiamare in causa tutti. 

Indignarsi non serve più

Impossibile immaginare una soluzione per correggere una brutalità che non avvisa nessuno e che appartiene ad una subcultura che quando non è dei singoli diventa clan. Quando non è violenza è malaffare e traffici illeciti.

E l’impressione è che indignarsi non serva (se mai è servito) più a nulla. 

Allora cosa serve a Catania? Serve non dimenticare le sue zone d’ombra, ma nemmeno identificarsi con esse. Il male che (purtroppo) c’è sia illuminato dalla consapevolezza, ma non diventi né una zavorra, né un alibi per abbandonare la speranza.


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