PALERMO – Aveva 17 anni quando partecipò alla strage. Reo confessa del triplice omicidio della madre e dei fratelli. Miriam Barreca, nel frattempo divenuta maggiorenne, è stata condannata a 12 anni e 8 mesi dal giudice per l’udienza preliminare Nicola Aiello del Tribunale per i minorenni. La Procura ne aveva chiesto 18.
Commise la strage assieme al padre Giovanni (pure lui ha confessato) e alla coppia di fanatici religiosi, Massimo Carandente e Sabrina Fina che invece continuano a proclamarsi innocenti.
Un neuropsichiatra infantile di Roma ha stabilito che l’imputata è capace di intendere e volere. E lo era anche nel febbraio dell’anno scorso quando avvenne il massacro.
Triplice omicidio
La ragazza confessò di aver agito per liberare la famiglia da presenze demoniache al culmine di un rito andato avanti per giorni. Nella villetta degli orrori furono torturati e uccisi Antonella Salamone e i figli Kevin ed Emmanuel di 16 e 5 anni. Legati e seviziati con gli attrezzi del camino e le padelle nella convinzione che dovessero essere liberati dal demonio. Il corpo della donna fu dato alle fiamme.
L’orrore e la confessione
Rileggere la confessione della ragazza fa sprofondare nell’orrore. “Non so come è morta mia madre, se per infarto o quando sia io che mio fratello gli davamo calci – raccontò ai carabinieri e al magistrato -. Prima i calci li ho dati io e poi Kevin, in quel momento mia madre non reagiva più. Mentre veniva torturata non poteva né mangiare né bere e quando veniva colpita con la pentola aveva una fascetta trasparente ai polsi”.
I figli dunque contribuirono ad uccidere la madre quando ormai la donna era priva di forze, martoriata dopo giorni di torture. Kevin prima avrebbe partecipato al rito, poi ne sarebbe rimasto egli stesso vittima. Anche Miriam avrebbe rischiato di essere ammazzata. Era la prossima a dovere morire, ma su Altavilla Milicia iniziò a soffiare un forte vento. Una normale condizione meteorologica fu scambiate per un segno e la diciassettenne fu risparmiata. I carabinieri la trovarono nella sua camera in stato di choc.
Il piccolo Emmanuel fu legato al letto con delle corde, torturato con gli attrezzi del camino incandescenti e costretto a bere del caffè amaro. L’atto finale fu un asciugacapelli rovente messo dentro la bocca. La morte è avvenuta per “insufficienza respiratoria acuta per trauma da inalazione termica.
Anche Kevin fu legato usando delle catene e dei cavi al collo e alle caviglie. Non poteva respirare ed è deceduto per “asfissia meccanica violenta da strangolamento”. È il terribile metodo dell’incaprettamento.
Stamani è cominciato davanti alla Corte d’assise di Palermo, nell’aula bunker del carcere Pagliarelli, il processo al padre Barreca, Fina e Carandente.

