Strage di Capaci, indagato un carabiniere: ipotesi depistaggio

Strage di Capaci, indagato un carabiniere: ipotesi depistaggio

Le interviste televisive e i verbali. Secondo i pm, "ha mentito"

PALERMO – Ombre su ombre e, così ipotizzano gli investigatori, un nuovo depistaggio sull’attentato di Capaci. Sotto accusa a Caltanissetta sono finite le dichiarazioni del brigadiere Walter Giustini. Il suo racconto è di quelli che fanno tremare i polsi, che scatenano rabbia e indignazione. Se avessero dato ascolto alle sue informazioni avrebbero arrestato Totò Riina prima delle stragi del ’92. Stragi che, dunque, potevano essere evitate. Le sue dichiarazioni sono state rilanciate l’anno scorso durante una puntata di Report (qui il nostro precedente articolo). Già allora scricchiolavano alla prova dei fatti. A microfono aperto Giustini si cuciva addosso il merito di svelare segreti e smascherare bugie. Sembrava l’ennesimo uomo della svolta.

Il nome di Giustini salta fuori nell’inchiesta che ieri ha svelato l’esistenza di “un osservatorio “fascista” sulle attività dei magistrati, con componenti “occulti” per colpire “giudici non graditi”. La Procura di Caltanissetta ha iscritto il militare, oggi in pensione, nel registro degli indagati per “frode in processo penale e depistaggio” e “calunnia” nei confronti del pubblico ministero Vittorio Teresi (anch’egli oggi in pensione). Le sue dichiarazioni vengono bollate come false.

Cosa disse a Report

Riina fu arrestato il 15 gennaio 1993. Due anni prima, nel ’91, così disse ai microfoni di Report, Giustini aveva ricevuto un’imbeccata da un suo confidente, Alberto Lo Cicero, poi divenuto collaboratore di giustizia. Bisognava seguire Salvatore Biondino, l’autista del capo dei capi. Dando credito a Giustini, questa è la sua tesi, oggi si saprebbe anche chi ha agito nell’ombra, supportando i mafiosi o forse dettando gli ordini ai boss stragisti. E cioè Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale e poi cofondatore dell’organizzazione di destra Ordine nuovo. Lo Cicero è morto. Sulla scena, a suffragare le parole di Giustini, è apparsa l’ex compagna di Lo Cicero, caduta pure lei in tante contraddizioni.

I verbali del ’92 e ’93

Qualcosa non torna. Il dichiarante Lo Cicero fra agosto 1992 e gennaio 1993 fu interrogato dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Disse di non sapere che Biondino era l’autista di Riina. Era ignaro della identità del padrino corleonese. Lo riconobbe solo dopo avere letto i giornali e guardato la tv, il giorno dell’arresto. Solo dopo Lo Cicero capì che era Riina il boss che aveva visto nella sontuosa villa di Mariano Tullio Troia. Banchettava assieme a “numerosissimi invitati” o presenziava a “riunioni ristrette” con cinque o sei persone al massimo.

Dunque, stando al racconto di Giustini, Lo Cicero sapeva che Biondino era l’autista di Riina, lo confidò nel ’91 al brigadiere, ma tacque durante gli interrogatori del ’92 e ’93. C’è di più: a Giustini si deve un’altra rivelazione choc. Il brigadiere seppe, sempre da Lo Cicero, che Stefano Delle Chiaie si recò “un paio di volte a Capaci” prima della strage. Neppure di questo si parlava nei vecchi verbali. Il collaboratore di giustizia aveva memoria del cartello “lavori in corso” a poche decine di metri dal luogo dove fu piazzato il tritolo per l’attentato, dei mucchi di terra (disse esattamente che “non c’erano scavi, ma mucchi di terra”) che impedivano il transito della sua auto a bordo della quale stava accompagnando il figlio a casa di amici. Si ricordava dell’uomo “vestito come un contadino”, del motociclista alla guida di “un vespino rosso” e di tanto altro. Nessuna traccia nei suoi ricordi di Delle Chiaie. Non pervenuto. Di una cosa Lo Cicero si disse certo: mai poteva immaginare che stessero progettando la strage di Capaci. Piuttosto dallo strano silenzio di alcuni suoi amici temette che lo volessero ammazzare.

Giustini era presente agli interrogatori del collaboratore di giustizia. Nulla disse però, o almeno non vi è traccia di un suo cenno di sorpresa di fronte alla clamorosa scomparsa di quelle delicatissime informazioni ricevute in via confidenziale da Lo Cicero e poi taciute.

Il recente racconto di Giustini

L’ex militare è stato convocato dalla Procura di Caltanissetta (secondo il gip Santi Bologna avrebbero dovuto sentirlo, a sua garanzia, già in qualità di indagato). L’interrogatorio da cui è uscito di fatto indagato è del 9 maggio 2022. Spiegò che i suoi superiori sapevano ogni cosa delle confidenze che gli aveva fatto Lo Cicero, ma non mossero un dito perché “faceva cadere la credibilità” di altri collaboratori di giustizia. “Qui casca il processo Andreotti”, gli avrebbero detto in un momento in cui il processo Andreotti, però, non esisteva. Giustini ha aggiunto di essere sotto choc “perché quello che io dicevo era giusto e a distanza di 30 anni siamo qua ancora a parlarne, se non ci fosse stato il problema degli altri processi forse noi l’avremo arrestati subito… il primo essere dispiaciuto sono io perché io Falcone e Borsellino sul posto li ho visti tutti e due… per sette mesi ho avuto l’odore dell’esplosivo dentro al naso io non dormivano notte”.

Le contestazioni

Ascoltate queste parole il procuratore di Caltanissetta gli ha contestato che nulla era prima emerso sul ruolo dei Biondino. Né negli interrogatori di Lo Cicero, né in nessun altro atto investigativo. “Può essere che lei non trova pure qualcos’altro perché io ste cose le ho dette dopo se non si trovano”, si è difeso Giustini facendo riferimento alla “nota Cavallo” trovata dalla Dna nel 2007 dopo che se n’erano perse le tracce negli archivi ufficiali. Sparita tra i documenti dei carabinieri e delle Procura. Una nota che già nel ‘92 dava atto della presenza di Delle Chiaie a Palermo.

Ed è qui che De Luca ha contestato a Giustini l’esistenza di più annotazioni (una deposita il 27 maggio 1992 e redatta lo stesso giorno della strage di Capaci), a firma anche del brigadiere, in cui non si parla di Biondino e Riina. Il gip Bologna stigmatizza le bugie di Giustini, ma non nasconde i suoi meriti. Fu il militare, infatti, a portare ai suoi superiori la foto di Biondino poi mostrata al pentito Di Maggio, che lo riconobbe esclamando: “È iddu’”. Grazie a quella foto Riina fu arrestato. Non potevano farlo prima perché Giustini nulla aveva detto del collegamento fra Biondino e il capo dei capi. E neppure Lo Cicero, nonostante il brigadiere trent’anni dopo sostenga il contrario. Ombre su ombre, e una certezza sottolineata dal giudice. Si poteva e doveva fare di più dal punto di vista investigativo sulle figure di Biondino e Delle Chiaie.


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