PALERMO – Adesso si indaga nella massoneria e nelle logge segrete per individuare i mandanti occulti della strage di via D’Amelio. E riaffiora un documento sull’agenda rossa di Paolo Borsellino risalente al ’92 e già da anno agli atti di un’inchiesta.
Si tratta di un appunto dattiloscritto da Arnaldo La Barbera, il super poliziotto che guidava le indagini sugli eccidi di mafia, datato 20 luglio ’92.
C’è scritto “consegnato a Tinebra uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle e un’agenda appartenenti al giudice Borsellino”. La consegna sarebbe avvenuta nell’ufficio di La Barbera, che dirigeva la squadra mobile di Palermo.
Non c’è un documento che confermi il passaggio del plico e La Barbera non ne ha parlato. Mai. E neanche c’è certezza che si trattasse dell’agenda rossa.
Agenda rossa, il giallo della consegna
Ventiquattro ore dopo che il tritolo aveva dilaniato i corpi di Paolo Borsellino e degli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, dunque La Barbera potrebbe avere consegnato a Giovanni Tinebra l’agenda rossa trafugata il giorno della strage. Oppure si trattò di un gesto successivo per intorbidire le acque?
Nessuno negli ultimi dieci anni si sarebbe attivato. Lo stanno facendo in queste ore i pubblici ministeri di Caltanissetta che hanno disposto una serie di perquisizioni nelle case dei figli dell’ex procuratore nisseno Tinebra. I controlli dei carabinieri del Ros si sono estesi anche a Catania e in una cassetta di sicurezza non aperta da anni che però è stata trovata vuota.
Le nuove indagini e Giovanni Tinebra
Il nuovo filone investigativo, coordinato dal procuratore Salvatore De Luca e dall’aggiunto Pasquale Pacifico si concentra su Tinebra. L’ipotesi è che il magistrato, oggi deceduto come La Barbera, tra il 1969 e il 1992, avesse fatto parte di una loggia massonica coperta con sede a Nicosia.
Tinebra è stato per anni procuratore della Repubblica del paese in provincia di Enna. Poi arrivò a Caltanissetta dove incrociò La Barbera considerato il regista del depistaggio delle indagini sull’eccidio di via D’Amelio, indottrinando il falso pentito Vincenzo Scarantino.
Il collaboratore Pennino
Già nel 1998 il collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino aveva parlato dell’esistenza della loggia segreta a cui sarebbero state iscritti anche Antonino cinà, il medico mafioso di Totò Riina, e i costruttori Buscemi.
“Quanto alla nascita del ‘Terzo Oriente’, questa struttura è sorta sulle ceneri della P2 e come, al pari della P2 – mise a verbale – si proponeva di affiliare tutti coloro di cui non si poteva rendere manifesta l’appartenenza massonica, al fine di creare un organismo capace di gestire il potere al di sopra dei partiti e del governo. A parlarmi di tale organizzazione furono principalmente Giuseppe Lisotta, medico, cugino di Vito Ciancimino, nonché Antonino Schifaudo, i quali esplicitamente gli manifestarono la loro appartenenza al ‘Terzo Oriente’. Mi fecero i nomi di alcune persone: il medico Antonino Cinà, l’imprenditore Buscemi e altre persone”.
Alla fine degli anni novanta un altro collaboratore, Angelo Siino, il cosiddetto ‘ministro dei lavori pubblici’ di Cosa Nostra raccontò dai suoi rapporti con il massone Salvatore Spinello e il commercialista della mafia Giuseppe Mandalari.
In una vecchia intercettazione riletta ora dai pm nisseni Spinello diceva: “Tinebra è dei nostri… Della loggia di Nicosia… Io non vado ad abbracciarlo pubblicamente per non comprometterlo”.

