Street art a Librino, VladyArt: |"Necessario mediare con criminalità" - Live Sicilia

Street art a Librino, VladyArt: |”Necessario mediare con criminalità”

Alcune sue dichiarazioni hanno scatenato polemiche. Lo abbiamo intervistato per capire meglio il pensiero dello street artist.

CATANIA – Alcune sue dichiarazioni hanno scatenato polemiche, prevalentemente su Facebook. Soprattutto, VladyArt, noto ed estroso street artist catanese, ci tiene a spiegare il suo punto di vista non solo sulle parole. Lo abbiamo intervistato sulla nuova opera di Blu, in viale Moncada e, in generale, sul valore dell’arte di strada.

Hai scritto che a Librino neanche gli alberi perdono le foglie senza che la mala lo sappia.

Allora, lo stupore di certuni per le mie parole forse derivano dalla scarsa dimestichezza con la verità senza filtri. O forse piace sollevare polveroni o aizzare gli uni contro gli altri. Ai Catanesi non piace dover riconoscere come funzionano qui le cose. Fa male. Mi ricordo quando Ottavio Cappellani disse che l’economia di certi quartieri si regge sulla cocaina. Scoppiò un putiferio. Ebbene, gli artisti sono voci critiche e spesso provocano. Ma sono voci indispensabili per la coscienza di un popolo. Le cose sono molto semplici. In qualsiasi territorio c’è controllo. Normalmente è lo Stato, attraverso le sue polizie. Alternativamente c’è la malavita. Non è facile operare se non prima si media con gli uni o con gli altri, dipende dalle zone. A Librino non deve essere mistero ma non cadono neppure le foglie in autunno senza il consenso della malavita. Magari dire “consenso” è troppo, diciamo quindi assenso o tacito benestare. Le sentinelle sono ovunque. Lasci l’auto per cinque minuti con una macchina fotografica e ti accorgi che spuntano dai portici.

Quando hai lavorato a Librino, hai dovuto chiedere qualche permesso “particolare”?

Anni fa ho dipinto al Campo san Teodoro, quando questo fu ripreso dal degrado. Ovviamente in questo passaggio di stato, non chiedi il permesso a nessuno se non a chi lo gestisce. Ma ero invitato e giustamente si lavorava per la stessa causa: fare rivivere il posto. A Librino ho girato anche due corti, di notte a capodanno. Non è semplice. Una volta sono stato circondato, perché una reflex con un cavalletto di notte vengono percepite come una minaccia. Dovetti spiegare che stavo facendo. So di writers che sono stati picchiati a sangue riportando fratture e contusioni piuttosto serie. Perché? Perché non si può operare in libertà laddove esiste un rigido controllo criminale. La malavita non ti fa la multa, mena. Ogni volta che vedete degli splendidi murales in qualche favelas, in giro per il mondo, è implicito che chi governa il quartiere abbia consentito l’operazione. E non sono stinchi di santo. Non lo sono né i parcheggiatori, ne i capo condomini, né i capi quartiere. Altrimenti non ti spiegheresti com’è possibile quell’andazzo. Questo non vuol dire scendere a patti con la mafia, significa forse entrarci dentro e spenderci alcuni giorni in mezzo. Come si fa e quanto riesce è una questione che non intendo analizzare. Ognuno ha i suoi metodi dissuasisi per farsi accettare. In genere si ricorre a “conoscenze” che ti servono come lasciapassare.

L’opera sulla facciata del palazzo pensi sia una sfida? E soprattutto Dopo: una risata vi seppellirà, siamo passati a un’opera d’arte vi sveglierà?

Non giudicherei il murales di Blu in questi termini, come una sfida. Bisognerebbe chiederlo a lui. La sfida o l’ultima frontiera qui sono il vilipendio alla bandiera del Catania, la bestemmia contro il Dio Sant’Agata, l’offesa alla patria “Città-Stato” o magari qualche inequivocabile condanna morale a qualche capomafia. Ma ancor di più credo che le parole, di un prete o di uno scrittore, siano armi più temute di un disegno. Quindi non è un disegno che potrà cambiare chissà quale coscienza. Il cambiamento che desideriamo è un processo culturale e i processi culturali sono lunghissimi, tali da richiedere generazioni. Tanti ragazzi qui hanno altri miti e non sono i pittori. Che qualcuno possa diventare artista o rugbista è un successo, ovviamente. Ho lavorato a stretto contatto con ragazzi provenienti dalle comunità di recupero dove scontavano pene per vari crimini. Se presi e affiancati, se gli si offre tutoraggio e dialogo, questi dimostrano di capire cosa sia quest’arte e dimostrano una sincera forma di rispetto che altrimenti, se ti scorgessero in strada senza essersi formalmente presentati, non avrebbero.

Quale impatto può avere la street art in una città gattopardiana come Catania?

Ci tengo a una precisazione. Stiamo parlando di murales e non di tutta la street art possibile. Che impatto? Un ottimo impatto se consideriamo che in certi quartieri non viene davvero organizzato nulla. Questo è meglio del nulla, sotto tutti i termini. Mi auguro però che non si proceda verso una “folklorizzazione” del fenomeno artistico. I muri grigi non sono il male assoluto e talvolta avrei preferito niente che alcuni brutti disegni. Quindi serve sempre una regia, un progetto ultimo e un coordinamento artistico perché i murales restano a lungo sui muri e c’è arte e arte.

L’arte, l’arte di strada, è un invito alla rivoluzione?

Invito alla rivoluzione? Con chi? Vi siete mai chiesti con chi dovremmo lottare e contro chi? Spero quindi di no. Si deve lavorare per il lungo e infinito processo di normalizzazione; elevare pian piano la qualità della vita, estendere i servizi, l’educazione scolastica e civica a tutti, contrastare vecchi e annosi problemi. Non ci giova avere 100.000 abitanti in questo stato perché sono pedine assai manovrabili da malapolitica e criminalità. La volontà di cambiare è sempre politica. Mi chiedi dei silos? Mi sa che l’operazione è passata come pensata o voluta dal Comune, in realtà nasce come iniziativa artistica proposta da un’associazione culturale, che ha però ottenuto i permessi dalle autorità coinvolte, Portuale in primis. Quello che ci spinge a stare 10 giorni a 28 metri di altezza e senza compenso è semplice. Fare. Il piacere di fare, di misurarsi con se stessi e “mettere la città su una mappa”, in termini di street art. Questo ovviamente è riuscito, perché è servito da stimolo a molte altre iniziative avvenute dopo. Se si vuole si può anche chiamare il tutto come “arte pubblica” o “opere pubbliche”, visto la dimensione e il fine di questo progetto. Era un sogno ricorso da più parti; l’idea di affidarli ad artisti capaci di disegnarli era nell’aria già da tempo. Riconosco che le sue ragioni e il suo senso non siano stati bene comunicati (o non abbastanza), ma noi siamo singoli interpreti e non possiamo che rispondere a titolo personale.

 

 

 


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