Marco Betta, sovrintendente del Teatro Massimo, come sta?
“Adesso meglio”.
Marco Betta è un compositore di valore. Lui vola basso sullo spartito della discrezione. E’ sempre stato così, per chi lo ha conosciuto prima dei successi e della nomina che l’ha portato al vertice di una istituzione culturale unica. Un uomo innamorato della musica, pazzo per la musica, dipendente in ogni respiro dalla musica. La prima del Don Giovanni saltata, a Palermo, non può che averlo ferito.
Ora, giovedì 26 ottobre, si va in scena, con la seconda-prima, però.
“Sì, con una trepidazione fortissima. Si assiste al miracolo di qualcosa che viene al mondo e diventa corde, scena, luce. Ecco il prodigio dell’arte”.
E sul podio c’è un mito.
“La presenza del maestro Riccardo Muti, uno dei più grandi musicisti in assoluto, ci onora ed è la conferma di una collaborazione che ci rende felici”.
Dicono che è scoccata l’armonia tra di voi, è vero?
“Ci siamo trovati reciprocamente molto bene, condividendo lo stesso linguaggio. E io ho potuto comunicare con un genio immenso”.
Ma resta sempre la cicatrice della prima annullata.
“Una terribile sofferenza a livello personale, come quando non avviene un parto e ti resta addosso la tensione. Gli artisti non possono che provare dolore, ma si va in scena con le altre rappresentazioni e questo mitiga quella sofferenza”.
Lo sciopero, infatti, riguardava la prima: a prescindere dalle forme, cosa pensa delle rivendicazioni?
“Che sono giuste. Non si può trascurare, in termini materiali, il mondo della cultura”.
La cultura, già… Spesso vaso di coccio, accanto al vaso di ferro della politica: lei che prospettiva si è dato?
“Io lavoro ogni giorno con passione, ho uno splendido rapporto con il sindaco di Palermo che è il nostro presidente. I riconoscimenti non mancano, il Teatro vive un momento radioso”.