CATANIA – Confermo la mia volontà di collaborare con l’Autorità Giudiziaria”. Francesco Di Mauro, 35 anni il prossimo 4 maggio, ha deciso due mesi fa di vuotare il sacco alla magistratura catanese. E le sue rivelazioni – pubblicate integralmente dal mensile “S” disponibile in tutte le edicole – potrebbero provocare pesanti fratture negli equilibri, già fragili, della cosca Cappello-Bonaccorsi.
Una delle famiglie mafiose più sanguinarie di Catania alla vigilia del 2010 aveva cercato di accreditarsi alla corte palermitana di Cosa nostra, portando tra le sue file nomi di spicco degli alleati dei Santapaola-Ercolano. Una migrazione tra consorterie criminali che è cristallizzata nell’inchiesta Revenge 5, quinto capitolo di un’indagine avviata nel 2009 che ha portato negli anni alla sbarra vertici e gregari della famiglia Cappello-Bonaccorsi. Francesco Di Mauro è un pezzo da novanta della malavita di Monte Po, rione popolare di Catania al confine con la cittadina di Misterbianco.
La sua ascesa criminale è legata anche alla parentela con Marco Strano, uno dei rampolli della famiglia che per anni ha retto le file degli affari mafiosi in quel pezzo di città. I fratelli Strano alla fine del primo decennio del nuovo millennio hanno deciso di lasciare la corte dei Santapaola, dove non avrebbero più goduto del potere che volevano. Uno strappo che potrebbe essere partito dopo l’omicidio dell’uomo d’onore Salvatore Pappalardo (ucciso nell’ottobre del 1999). Quel delitto ha portato alla condanna all’ergastolo di Alessandro Strano. Uno dei fratelli, appunto.
Alessandro, Mario, Claudio e Marco. Sono questi i nomi dei quattro fratelli che negli ultimi anni hanno avuto diversi guai con la giustizia. Francesco Di Mauro è diventato uno dei testi chiave nel processo d’appello scaturito proprio dall’inchiesta Revenge 5 che in primo grado ha portato a una raffica di condanne. La condanna più pesante è stata pro- prio per il neo pentito: 20 anni di reclusione. “Sono detenuto dal 24 novembre 2015 quando sono stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta Revenge 5”, racconta appunto Di Mauro. I verbali – ricchi di omissis – fotografano uno spaccato criminale che porta ai piani alti della famiglia Cappello-Bonaccorsi.
Il collaboratore di giustizia fa nomi e cognomi, fornendo un preciso organigramma del gruppo con ruoli e competenze. E non finisce qui. Di Mauro parla di screzi e tensioni tra boss. Ma anche di riunioni operative e di nuovi reclutamenti. Per la precisione tra le file dei Pillera. Le sue parole insieme a quelle di Salvatore Bonaccorsi, collaboratore di giustizia dall’estate scorsa, potrebbero portare input investigativi strategici per pugnalare il cuore della cosca Cappello-Bonaccorsi, che è riuscita grazie all’alleanza storica con i fratelli Strano ad allargare il suo raggio di azione anche fuori dal “passareddu” (via Poulet) di San Cristoforo. Altro rione di Catania, questa volta a due passi dal salotto barocco del centro storico. “Intendo sottolineare che io ho continuato ad occuparmi di traffico di droga come appartenente al clan Cappello-Bonaccorsi anche in epoca successiva al 2013 e fino al giorno del mio arresto”.
Insomma Di Mauro va oltre le contestazioni del processo e dice chiaro e tondo che fino al giorno in cui è entrato in carcere si occupava di traffico di stupefacenti per conto del clan. “Il mio quartiere di riferimento era sempre Monte Po”, racconta ai magistrati della Dda di Catania. Come era composta la sua squadra? “Gabriele Torrisi, Giuseppe Cavallaro, Fabrizio Reale, Antonino Capizzi e Carmelo Sicali”, questi sono i nomi che il collaboratore di giustizia mette nero su bianco. E Di Mauro precisa: “Hanno continuato a collaborare con me nel traffico di droga e nella consorteria mafiosa Cappello-Bonaccorsi sino al loro arresto”.
Carmelo Sicali è l’ex esponente dei Pillera del Borgo (piazza Cavour, a Catania, ndr) che sarebbe migrato tra le file dei Cappello. “Io non volevo che Carmelo Sica- li entrasse nel gruppo di Monte Po, ma Marco Strano ne concesse l’ingresso”, racconta ai magistrati.
Ad un certo punto Sicali però sarebbe scomparso da Monte Po ed ecco che dal carcere “arrivarono dei bigliettini con cui si chiedeva se Sicali fosse ancora un nostro associato”. Una richiesta che sarebbe arrivata direttamente da Alessandro Strano. Di Mauro avrebbe chiesto a Sicali “come era combinato” e quest’ultimo avrebbe confermato “la sua appartenenza al clan Cappello”. Il pentito fa un salto nel passato. Nel 2009 Francesco Di Mauro finisce in carcere per qualche giorno. “Sono stato catturato – racconta – per oltraggio a pubblico ufficiale”. In quel periodo i responsabili “del gruppo di Monte Po erano Claudio Strano e Mario Strano”, che abita a Picanello. Quest’ultimo è il boss che è stato arrestato lo scorso Ferragosto nel palermitano, mentre stava trascorrendo una vacanza con la famiglia in aperta violazione della sorveglianza speciale. Mario Strano finisce in carcere e mentre era dietro le sbarre, lo scorso autunno, la Polizia sequestra alcuni immobili e aziende di trasporti riconducibili all’esponente dei Cappello-Bonaccorsi. Da qualche mese è tornato in libertà. Da quello che racconta Di Mauro non sarebbe un caso che la residenza di Mario Strano è nel quartiere a Picanello, a pochi passi dal borgo marinaro di Ognina.
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