PALERMO – Telejato chiude. L’annuncio lo ha dato la stessa emittente con un’amarissima nota pubblicata oggi sul sito della Tv. Sommersa da querele e azioni legali, la televisione di Partinico che tra l’altro denunciò le anomalie nella gestione dei beni confiscati alla mafia sta valutando di mollare. È davvero la fine per la creatura di Pino Maniaci, il paladino dell’antimafia caduto nella polvere per le accuse di estorsione che lo vedono imputato a Palermo? C’è da augurarsi che non sia così. Una voce che si spegne è sempre una perdita. E quando a spegnersi è una testata fuori dai potentati editoriali, che per di più agisce su un territorio difficile, la perdita è doppia.
Ma la vicenda di Telejato, inclusa la nota intrisa d’amarezza con cui Maniaci sembra volere accomiatarsi dal suo pubblico, offre lo spunto per una riflessione più ampia. Che riguarda il giornalismo, l’antimafia e l’uso più o meno legittimo della querela. Che, va detto senza giri di parole, può anche diventare uno strumento temerario che può servire a intimidire e imbavagliare voci scomode.
Al contempo, però, la vicenda di Telejato, si intreccia con quella umana e giudiziaria del suo fondatore. Con certi suoi eccessi e con le ombre dei reati a lui contestati dalla procura, addebiti che Maniaci ha sempre respinto con forza protestandosi innocente. Il caso di Telejato si presta, in questo suo drammatico epilogo, a una riflessione sul lessico e sullo stile di una certa antimafia. Sui suoi eccessi, su certe accuse iperboliche che non sempre camminano di pari passo a denunce circostanziate. Sul sospetto che da anticamera della verità può trasformarsi in salotto buono del processo sommario.
Sulle parole come pietre lanciate con disinvoltura, sul modus operandi dei comunicatori ammantati da una coperta legalitaria che ha illuso i suoi aedi di un diritto all’impunità a fronte di mascariamenti d’ogni sorta. Marchi d’infamia, sentenze mediatiche definitive di colpevolezza vergate senza troppa prudenza. Quella prudenza il cui sapiente dosaggio, nel denunciare guasto e malaffare, è ingrediente irrinunciabile per un giornalismo corretto.
Il rovinoso impazzimento tutto interno alla galassia antimafia a cui si è assistito negli ultimi anni tra scandali, sputtanamenti e anatemi, ha forse contribuito a innalzare i toni, sempre più aspri, del dibattito. Ma non sempre chi grida più forte ha ragione. È probabile che questo impazzimento abbia offerto il fianco all’exploit di querele e azioni legali, più o meno fondate, di cui parla la nota di Telejato. La cui vicenda offre un ulteriore ammonimento da contrappasso dantesco, già sperimentato da altri campioni o ex campioni dell’antimafia: la retorica legalitaria sopra le righe può ritorcersi contro i suoi stessi cantori, come sta dolorosamente sperimentando sulla sua pelle lo stesso Maniaci.