Tutto il mondo è paese: recensione dell’Antologia di Spoon River

Tutto il mondo è paese: recensione dell’Antologia di Spoon River

Si tratta di 248 epitaffi di personaggi ispirati agli abitanti dei due villaggi dove è cresciuto l’autore
EDGAR LEE MASTERS
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L’Antologia di Spoon River è una raccolta di poesie, ambientate nella cittadina immaginaria di Spoon River, scritta da Edgar Lee Masters e pubblicata per la prima volta nel 1916. Nello specifico, si tratta di 248 epitaffi di personaggi ispirati agli abitanti dei due villaggi dove è cresciuto l’autore, Lewiston e Petersburg. 

Preliminarmente, per capire la straordinaria lucida follia della “Antologia” appare opportuno e illuminante parlare della donna grazie alla quale oggi noi possiamo leggerne il contenuto in italiano: Fernanda Pivano.

Nel 1935 giunge un supplente “giovane giovane” di italiano nella classe della Pivano, studentessa al Liceo Classico D’Azeglio di Torino: si tratta di Cesare Pavese, uno dei più importanti letterati italiani della prima parte del ‘900. Come racconta la Pivano nei Diari 1917-1973, ella ebbe “lo straordinario privilegio” di ascoltare Pavese mentre “leggeva Dante o Guido Guinizzelli e li rendeva chiari come la luce del sole” e avrebbe “passato ore ad ascoltarlo, con una voce che avrebbe fatto morire di invidia qualsiasi attore.”

Nel 1938 i due si rincontrano, lei ormai studentessa di Lettere all’università chiede all’ex professore del liceo, ora innamorato di lei, quale sia la differenza tra la letteratura inglese e quella americana. Pavese, come ci racconta la Pivano, “si era passato la pipa dall’altra parte della bocca per nascondere un sorriso e non mi aveva risposto. Naturalmente c’ero rimasta malissimo; e quando mi diede i miei primi libri ‘americani’ li guardai con grande sospetto”. 

Prese dunque in mano il libro intitolato Antology of Spoon River di Edgar Lee Masters, lo aprì proprio alla metà e lesse una poesia che finiva così: “mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì.” Presa da una passione improvvisa, Fernanda Pivano inizia a tradurre ognuna delle poesie contenute nel libro, traducendole e ritraducendole per cercare di rendere in italiano ciò che quelle parole in inglese le avevano fatto provare. Pavese un giorno trova le traduzioni in un cassetto e le dice: “allora ha capito che differenza c’è tra la letteratura americana e quella inglese” e così portò con sé il manoscritto. 

Dopo anni di lavoro, nel 1943 l’opera viene pubblicata da Einaudi con il titolo di “Antologia di S. River”. Poco tempo dopo viene ritirato dal commercio a causa della copertina ritenuta immorale da parte della censura fascista. Torna nelle librerie italiane nel 1947, dove rimarrà fino ad oggi. Questa prima opera consacra la Pivano tra i più importanti traduttori, scrittori, giornalisti e critici musicali della scena italiana. 

Quanto a Cesare Pavese, per dovere di cronaca, dopo una vita tormentata e i due rifiuti subiti dalla sua amata “Fern”, si uccide nell’agosto del 1950.

Proviamo adesso a capire cosa colpì la Pivano e perché Pavese le sottopose proprio questo testo.

Ad aprire la raccolta è la poesia “La collina”, avvolta da una sottile ironia tragicomica e che preannuncia quel mosaico di volti, follia e morte che pagina dopo pagina prende forma. I morti di Spoon River, come spesso vengono chiamati, sono persone comuni, che in vita non hanno mai fatto chissà cosa, che si sono inseriti nella rete di relazioni della cittadina conducendo un’esistenza ai loro occhi ricca di eventi che però, davanti alla morte, risulta misera. Sono tutti diversi l’uno dall’altro in vita ma identici nella morte, un sonno eterno che invece di calmare gli spiriti li rende ancora di più irrequieti. Tutti raccontano la loro vita finalmente con estrema sincerità, ammettendo i propri errori, le scelte di vita che lasciavano a desiderare e i momenti patetici che li hanno portati ad essere semplicemente uno dei tanti morti della collina. 

I versi sono febbrili, ironici, cosparsi di emozioni che vanno e vengono in un lampo. Scorrono velocemente, alcuni sono più lunghi altri si interrompono bruscamente. Apparentemente scollegati, si intersecano tra di loro grazie a personaggi che si presentano, scompaiono per un po’ e poi fanno da comparse nella storia di qualcun’altro. 

Sembra di entrare nella mente di un matto, dove i pensieri sconnessi hanno senso soltanto quando li abbiamo davanti tutti insieme e un po’, sotto sotto, questa follia sappiamo che ci appartiene. Siamo impazziti un po’ tutti a star dietro a questo mondo che corre, che ci dice di cogliere l’attimo e ci ricorda costantemente che la nostra vita è limitata e che non dobbiamo assolutamente sprecarla. Ma se non ci fermiamo mai, come possiamo renderci conto di qual è quel famoso attimo da cogliere?

Non è assurdo? L’intera umanità si rivede in 248 abitanti di un villaggio. Ma in fondo si sa, tutto il mondo è paese. 

Cassius Hueffer
“Hanno inciso sulla mia tomba le parole:
‘La sua vita fu generosa, e gli elementi così mescolati in lui
Che la natura avrebbe potuto levarsi a dire al mondo intero,
questi fu un uomo’.
Coloro che mi conobbero ridono,
a leggere questa vuota retorica.
Il mio epitaffio avrebbe dovuto suonare:
‘La vita non fu generosa con lui,
e gli elementi così mescolati in lui
che egli mosse guerra alla vita,
e vi rimase ucciso’.
In vita non potei lottare con le lingue diffamatrici,
adesso che son morto devo subire un epitaffio
scolpito da uno sciocco!”

Antologia di Spoon River; Edgar Lee Masters

(Marta Citarrella, VB)

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