Condanna definitiva a 30 anni | "Niente riporterà Maria Rita" - Live Sicilia

Condanna definitiva a 30 anni | “Niente riporterà Maria Rita”

 

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa. Si chiude così la travagliata vicenda giudiziaria scaturita dall'omicidio di Maria Rita Russo, data alle fiamme dal marito a Giarre nel novembre del 2009.

 

Omicidio russo
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GIARRE. “Questi anni sono stati un calvario di udienze e con la decisione della Cassazione, almeno dal punto di vista giudiziario, possiamo mettere la parola fine”. Queste le primissime parole pronunciate da Cetty Russo, sorella di Maria Rita, data alle fiamme e uccisa nel 2009 a Giarre dal marito Salvatore Capone. Ieri sera, dopo 9 lunghissime ore di camera di consiglio, i giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso, definito inammissibile, presentato dai legali dell’imputato, Enzo Iofrida e Giovanni Spada, contro la sentenza d’appello che aveva condannato l’uomo a 30 anni di reclusione. La sentenza della Suprema Corte chiude in modo definitivo una travagliata vicenda giudiziaria iniziata nel 2009, dopo l’arresto di Salvatore Capone, accusato dell’omicidio della giovane insegnante giarrese e del tentato omicidio dei figli minorenni, entrambi aggravati dalla premeditazione.

LE TAPPE GIUDIZIARIE. Nell’aprile del 2011 il gup di Catania Marina Rizza condanna al massimo della pena, l’ergastolo, Salvatore Capone. Per il giudice non ci sarebbero dubbi sulla premeditazione dell’omicidio e del tentato omicidio dei due figli minorenni. Due anni dopo, a febbraio, la Corte d’Assise d’Appello di Catania, presieduta da Luigi Russo, riduce la pena a 30 anni, escludendo il tentato omicidio dei bambini. Ma la prima sezione della Corte di Cassazione, nel maggio del 2014, annulla quella sentenza limitatamente, però, all’aggravante della premeditazione. Si torna quindi in aula davanti ad una nuova sezione della Corte d’Appello di Catania, presieduta da Antonio Giurato. Ma i giudici non tengono conto della pronuncia della Cassazione e condannano Capone nuovamente a 30 anni. Ieri l’epilogo. Questa volta i giudici della Suprema Corte dichiarano inammissibile il ricorso presentato dalla difesa, ponendo fine alla vicenda.

LE REAZIONI. Si dice felice di poter mettere un punto alla vicenda giudiziaria la famiglia di Maria Rita Russo, presente a tutte le udienze. “Sono sempre stata cosciente del fatto che nessuna sentenza mi avrebbe riportato in vita Maria Rita – prosegue ancora Cetty Russo –  ma quello che ho sempre voluto fortemente è che quell’uomo pagasse per aver tolto a una madre il diritto di veder crescere i propri figli e, di conseguenza, a loro quello di essere scaldati dall’abbraccio della loro madre.

Io e la mia famiglia non possiamo che ringraziare di vero cuore i nostri legali. Mi auguro – conclude – che questa sentenza serva da esempio”.

E si dice soddisfatto del risultato anche Vincenzo Mellia, legale di parte civile insieme a Giovanni Grasso, Pierfrancesco Continella, Goffredo D’Antona e Nino Garozzo. “Tutte le volte in cui viene a mancare la vita di una giovane donna e madre c’è soltanto tristezza – commenta Vincenzo Mellia – Poi dal punto di vista giuridico, in udienza c’è stato un confronto sul piano delle idee, con argomentazioni serie da entrambe le parti. Alla fine il ricorso dell’imputato è stato ritenuto inammissibile. Abbiamo visto riconosciuta l’applicazione rigorosa e vera delle legge. Ma resta il fatto – conclude il legale – che la vita di questa povera donna non c’è più e che ci sono due orfani”.

Per Enzo Iofrida e Giovanni Spada, legali di Salvatore Capone, le notizie di cronaca degli ultimi giorni avrebbero inciso, anche se inconsciamente, sulla decisione.

“Il momento storico in cui si è celebrata l’udienza è stato determinante – commentano i due avvocati – premesso che anche i giudici di Cassazione sono persone. Tre giorni fa ci sono stati due casi di femminicidio ed un caso di tentato femminicidio. L’esclusione della premeditazione, d’altronde, avrebbe comportato una riduzione di pena di circa 10 anni. Nove ore di camera di consiglio, d’altronde – concludono Iofrida e Spada – sembrano davvero eccessive per verificare una inammissibilità”.

 

 

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