C’è un posto nel mondo dove per cinque giorni si parla di libri sulle mafie. Ne parlano scrittori, registi, magistrati, giornalisti, studiosi. C’è un posto dove per cinque giorni i temi della legalità, dei diritti, del coraggio e della speranza occupano le piazze e i palazzi antichi del centro storico. Questo posto è in Italia, in Calabria, a Lamezia Terme.
Il festival Trame nasce tre anni fa, da un’idea di Tano Grasso e per le prime due edizioni sotto la direzione di Lirio Abbate. Sono stato ospite in entrambe le occasioni e mi ha sempre colpito l’entusiasmo, la partecipazione e la passione dei tanti che seguivano i dibattiti fino e oltre mezzanotte. Parole, esperienze, testimonianze.
Quest’anno, per Trame.3, mi è stato chiesto di dirigere il festival e organizzare il programma. Una sfida complicata, perché Trame ha già una sua identità forte e una sua visibilità nazionale. Era difficile fare qualcosa di meglio, qualcosa di diverso. E per questo, accanto all’impegno e alla denuncia – che sono tratti caratteristici di Trame – abbiamo voluto inserire incontri e appuntamenti che allargassero il discorso sulle e contro le mafie al cinema, all’arte, alla musica, ala letteratura.
D’accordo con la Fondazione Trame che organizza il festival – promosso dal Comune di Lamezia, dall’Associazione antiracket di Lamezia e dall’Associoazione italiana editori – abbiamo così invitato scrittori come Gianrico Carofiglio, Marcello Fois, Evelina Santangelo, Carmine Abate, Mimmo Gangemi, registi come Roberto Andò, Mimmo Calopresti, Pif, Pasquale Scimeca. E musicisti come Mario Incudine o i gli artisti raccolti nel progetto “Musica contro le mafie”.
Il festival Trame diventa così il modo per mettere insieme esperienze diverse, locali e nazionali, di impegno istituzionale e di impegno diffuso. E basterebbe solo parlare dei cento e più ragazzi che formano un gruppo di volontari in prima linea con le loro magliette rosse e il loro entusiasmo.
Sì, vabbè, ma ha ancora senso fare i festival? E ancor più: che senso ha fare una rassegna tutta centrata sulle mafie? E’ domanda vecchia, più volte posta e alla quale sono state date risposte diverse. Ma chi pone questa domanda spesso pensa ai festival mondani, agli eventi che affollano le estati italiane di tante belle piazze e città. A Lamezia Terme e in Calabria la storia è diversa. Seguire un incontro, partecipare a un dibattito, assistere a un film o a un concerto qui non è semplicemente un momento di passerella o di retorica. Chi affolla le piazze di Trame è spinto da un bisogno di conoscenza, di testimonianza, di impegno. Esserci, a Lamezia, significa dire qualcosa, anche se si sta in silenzio. Partecipare a Trame significa dire, con il proprio corpo, con il proprio volto, da che parte si sta: dalla parte del diritto, della legalità, del futuro.
E’ facile essere altisonanti in queste occasioni, mi piacerebbe evitarlo. Ma in Calabria, dove il movimento antimafia è ancora fragile e isolato, dove le occasioni di solidarietà e vicinanza spesso sono vinte dalla solitudine che provano sulla propria pelle quanti resistono e si ribellano, luoghi come Trame hanno un significato reale e concreto. E non è un caso che molti siano gli ospiti siciliani – da Enrico Colajanni ai ragazzi di Addiopizzo, da Attilio Bolzoni a monsignor Domenico Mogavero, dal professor Salvatore Lupo al magistrato Michele Prestipino, da Francesco Merlo a Pietrangelo Buttafuoco – perché l’esperienza siciliana dell’antimafia, più antica e consolidata di quella calabrese, possa trasferirsi per osmosi positiva nella giovane antimafia calabrese, anche per evitare errori e distorsioni che hanno segnato la storia del movimento antimafia in Sicilia. Ecco perché Trame è un festival necessario, in Calabria e nel resto d’Italia.
Gaetano Savatteri, direttore del festival voluto da Tano Grasso, presenta la nuova edizione.
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