PALERMO – La Procura generale ricorre in Cassazione contro l’unica assoluzione del processo per la morte di Valeria Lembo. Le iniettarono una dose di farmaco antitumorale, la Vinblastina, dieci volte superiore a quanto previsto dal protocollo.
Novanta milligrammi al posto di nove. Una dose killer frutto di un macroscopico e incredibile errore. Era il 2011 e Valeria, mamma di un bimbo di sette mesi, aveva 34 anni. Il sostituto procuratore generale Emanuele Ravaglioli fa ricorso davanti ai supremi giudici per la posizione dell’infermiera Clotilde Guarnaccia, difesa dall’avvocato Salvino Pantuso, che in primo grado era stata condannata e in appello scagionata con la formula “per non avere commesso il fatto”.
La Corte presieduta da Fabio Marino aveva inflitto tre anni di carcere e altrettanti di interdizione dalla professione medica a Sergio Palmeri, primario del reparto di Oncologia del Policlinico, mentre all’oncologa Laura Di Noto due anni e tre mesi (2 anni di interdizione). Per lo specializzando Alberto Bongiovanni tre anni e cinque mesi (rispondeva anche di falso, per lui tre anni di interdizione dall’esercizio della professione).
Secondo il legale della difesa, Guarnaccia non ebbe alcuna responsabilità nell’omicidio colposo, visto che “scrupolosamente contattò per due volte l’ambulatorio del professore Palmeri ricevendo istruzioni sia per il farmaco che per la preparazione dello stesso dalla Di Noto”.
E qui si innesca il tema del processo che riguarda l’infermiera. Esisteva una norma che obbligasse Guarnaccia a rapportarsi solo ed esclusivamente con un medico strutturato, visto che Di Noto non lo era? Secondo il collegio di appello, non esisteva “una valida fonte normativa o prescrittiva che imponesse eventualmente alla Guarnaccia di contattare soltanto un medico burocraticamente inquadrato nel reparto, senza accontentarsi, come l’imputata aveva fatto, dell’interlocuzione, supra già ricostruita, con la dottoressa Laura Di Noto, che sebbene non fosse formalmente strutturata, godeva tuttavia di cospicua autonomia d’intervento in quel contesto”. Da qui l’assoluzione.
Il sostituto procuratore generale Emanuele Ravaglioli nel ricorso con cui si chiede l’annullamento con rinvio della sentenza di assoluzione contesta all’imputato: “Negligente ignoranza dei quantitativi di farmaco da allestire; negligente affidamento sulle rassicurazioni fornite da un medico non strutturato nonostante l’esistenza di regole di condotta contenute in norme procedurali note o conoscibili; imperito allestimento del farmaco dovendo predisporre uno spropositato quantitativo di 90 mg di Vinblastina in luogo del corretto dosaggio di 9 non era possibile inserire il liquido in una siringa e si è dovuto pertanto fare ricorso ad una soluzione alternativa”. Al posto della siringa dovettero usare una flebo. I familiari di Valeria si sono costituiti parte civile con l’assistenza degli avvocati Marco Cammarata e Vincenzo Barreca e hanno ottenuto un risarcimento.
“Il ricorso per Cassazione conferma la grande attenzione per la vicenda da parte del procuratore generale Emanuele Ravaglioli – spiega l’avvocato Cammarata – che ha seguito dall’inizio il processo (era anche pm di primo grado quando era in servizio alla Procura della Repubblica ndr) dando prova di grande sensibilità in una vicenda tragica e al tempo stesso gravissima”.