Mari Albanese, esponente di spicco del Pd siciliano, era lì, durante il salvataggio di Ustica. Ci ha inviato questo racconto su un eroe gentile. Che volentieri pubblichiamo.
Nato e cresciuto nel mare di Ustica, tra le onde e un vulcano ormai silente. Un’isola che cattura e non ti lascia più andare. Salvatore sa di sale e sole, eppure, per qualche strana ragione a me ricorda la montagna. Saranno le sue grandi spalle che lo rendono rassicurante. Lo incontro al porto dove lavora come ormeggiatore, ha preso il posto di suo padre quando si è ammalato di cuore.
Una famiglia unita, quattro fratelli e una sorella. Salvatore ha lavorato fin da bambino, portando a casa tutto lo stipendio. Erano momenti duri economicamente e vivevano in una casa popolare. I pescatori sono spesso poveri e in balìa del mare. Voleva studiare e diventare capitano, sorride mentre pensa ai suoi sogni infranti. Ha gli occhi buoni che sorridono anche quando si commuovono al pensiero di altre vite che avrebbe voluto salvare se solo si fosse trovato al posto giusto e nel momento giusto.
Ma di vite ne ha salvate tante, come quella del sub di pochi giorni fa, uscito in mare anche lui per salvare una coppia dalle onde altissime. Lo fa come se fosse normale. Lo fa perché conosce la strada del mare, le sue correnti, le secche, il suo respiro.
Il mare, mi dice, va rispettato e ascoltato perché sa accarezzarti come schiaffeggiarti se osi sfidarlo.
E lo paragona al bacio di una donna, intenso e totalizzante.
Al porto si muove con sicurezza, lo osservo mentre fa ormeggiare le navi in arrivo. I turisti scendono e lo ringraziano, lui abbassa lo sguardo con umiltà, andava fatto e si stranizza per tutto questo clamore.
Salvatore ha la schiena a pezzi per il duro lavoro, ha subito da poco un intervento delicatissimo e sta imparando a far dialogare le onde con questo nuovo dolore. Ma nonostante questo non ha esitato ad uscire in mare mettendo a repentaglio la sua vita.
“Ero chiuso come un riccio e mi sono aperto grazie al mio lavoro, ho iniziato a raccontare la mia isola che amo ai turisti e non mi sono più fermato. Non ho mai pensato di lasciare Ustica, sarebbe come staccare una patella dal suo scoglio”.
Mentre parla osservo i suoi denti, sono bianchissimi, e penso che non saprei decifrare la sua età, dalle cose che mi racconta è come se avesse vissuto tante vite. Ha i suoi angeli custodi, mi dice: suo papà, lo zio Vito e un amico morto in mare. Si commuove quando ne parla e anche io. Ma non ce lo diciamo, c’è uno spazio di silenzio che arriva dritto come acqua di mare sulle guance.
E mi faccio spiegare come è riuscito ad affrontare un mare impossibile e trarre in salvo una vita, grazie anche a un equipaggio coraggioso. “Sono uscito dal porto a 35 nodi, volevo arrivare subito. A punta dell’Arpa e a Punta Galazzi ci sono tre tipi di corrente ed è li che devi essere lucido e saper giocare con le onde. Non è semplice conoscere il mare. Io lo so a memoria. Arrivati all’Acquario per salvare l’uomo, sono entrato in mezzo all’onda e mi sono fatto aiutare dal mare per non prendere gli scogli. Era il momento più delicato perché se si fosse spento il motore avremmo raccontato un’altra storia. Siamo riusciti a tirarlo su. Ed è stato un momento incredibile”.
È la normalità eroica di Salvatore ad essere struggente, lo penso mentre rimaniamo in silenzio a guardare da lontano i fratelli Mancuso, usciti in mare con lui. Stanno sistemando le reti da pesca, la vita dell’isola è lenta ed ha la sua routine.
Ciao Capitano dagli occhi gentili e buoni, torno a Palermo con un carico di umanità nel cuore. Facciamone tesoro in mezzo alle storture quotidiane.

