PALERMO – La polizia e i vigili urbani sono ancora sul posto, il portone d’ingresso del palazzo fino a stamattina occupato dagli abusivi è stato chiuso e resterà off limits. In via Giuseppe Savagnone, alla Noce, dopo lo sgombero l’atmosfera è ancora tesa. Da lontano, c’è chi osserva con preoccupazione lo stabile in cui è avvenuta l’aggressione all’inviata di Striscia la Notizia Stefania Petyx, e dice: “Noi prendiamo le distanze da chi ha agito con violenza, non siamo come loro. Ma i prossimi ad essere costretti ad andare via potremmo essere noi”. Già, perché di fronte al condominio ormai vuoto, c’è un’altra struttura occupata dagli abusivi.
Si tratta di tredici famiglie con ventisette bambini che dovrebbero lasciare l’edificio entro 10 giorni: si sono rivolte al Tar e attendono la decisione del tribunale. In quegli ex uffici comunali trasformati in abitazioni, vivono anche due disabili. “E adesso siamo disperati – dicono affacciandosi al balcone -. Potrebbero buttarci fuori domani, tra due giorni o tre. Non sappiamo cosa fare”. Chi abita nell’edificio scende in strada e quasi con le lacrime agli occhi racconta giornate che si snodano tra lavori saltuari ed estreme difficoltà per avere il minimo indispensabile. “Facevo il fattorino al bar Alba – racconta uno di loro – ma ho perso il lavoro. Con moglie, due figli e uno in arrivo, come avrei potuto continuare a pagare l’affitto? Abbiamo traslocato sette volte, purtroppo non abbiamo avuto alcuna alternativa”.
All’interno del palazzo le famiglie abusive hanno effettuato dei lavori per rendere i locali abitabili: “Non c’erano bagni, non c’era nulla – raccontano -. Ognuno di noi ha fatto la propria parte. Tra di noi ci sono muratori, manovali, fontanieri. Abbiamo raccolto pochi soldi per comprare i materiali e abbiamo reso questo posto decente”. Alcuni locali sono stati separati da muri realizzati artigianalmente: “All’inizio eravamo otto famiglie – spiega Maurizio Puleo – poi sono arrivate altre persone che come alternativa avevano soltanto la strada e non potevamo fare altro che accoglierle”.
Gli ambienti sono stati divisi, ogni abitazione ha adesso un bagno, una cucina e camera da letto. “Io vendo fiori ai semafori – racconta Cristoforo Spanò – come potrei mai permettermi di pagare una casa? Io mia moglie e i bambini abbiamo vissuto da mio suocero, ma anche lui sta per perderla”. Marianna, rumena che ha sposato un palermitano, viveva invece in un magazzino: “Una esperienza che non auguro a nessuno – dice – specialmente con un bambino e tante responsabilità da affrontare”. Nelle abitazioni ci sono arredi di fortuna, ma c’è chi ha curato nel dettaglio gli ambienti per renderli più accoglienti, con tende, tappeti e quadri: “Il lusso non ci appartiene, non sappiamo nemmeno cosa sia – sbotta Rita Bellone -. Facciamo molta attenzione alla pulizia perché ci sono molti bambini, ma tutto ciò che abbiamo è stato comprato di seconda mano o raccolto per strada e sistemato. I quadri appesi su questa parete li ho presi al mercatino di Ballarò, non valgono nulla, la libreria è vecchia, dormiamo su un materasso e una rete”.
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Le fa eco Irene Bugea: “Siamo consapevoli di essere abusivi, ma qualcuno deve darci un’alternativa. Quando siamo arrivati qui, a giugno, eravamo più disperati che mai. Siamo in graduatoria da quasi quindici anni, ma è tutto bloccato. Che futuro possiamo dare ai nostri figli? Adesso è pura sopravvivenza, ma cerchiamo comunque di non far mancare nulla ai più piccoli. Ho una figlia di 14 anni che studia al liceo, non posso farle mancare un tetto sopra la testa”.
Dal giorno in cui gli abusivi di via Savagnone sono finiti nell’occhio del ciclone, le tredici famiglie raccontano di non aver più avuto pace: “Non dormiamo più, la nostra vita già difficile, si trova di fronte all’ennesimo problema da affrontare – dicono -. Eppure la forza di volontà non ci manca, ma non c’è lavoro che permetta di pagarci un affitto e le nostre richieste sono sempre cadute nel vuoto. Non è giusto che anche noi dobbiamo pagare le conseguenze dei violenti, noi siamo diversi. Ci dispiace che l’inviata di Striscia non si sia rivolta a noi, perché noi l’avremmo accolta a braccia aperte, le avremmo offerto anche il caffè”.