PALERMO – E’ quasi sempre una grossa vincita iniziale ad alimentare l’illusione. Ogni giorno sembra quello giusto per far finire soldi facili nelle proprie tasche, ma è così che ogni scommessa spiana la strada verso la dipendenza e il gioco diventa una droga a tutti gli effetti. Sono più di ottocento, a Palermo, coloro che negli ultimi anni si sono sottoposti alle terapie del Gap, l’ambulatorio specialisti dell’Asp che si occupa della cura del gioco d’azzardo patologico. Alcuni si sono resi conto di essere finiti in un tunnel infinito, altri sono stati spinti e incoraggiati dai familiari a chiedere aiuto.
Tra loro c’è chi ha perso tutto, chi ha sperato fino all’ultimo di vincere la scommessa della propria vita e di lasciarsi alle spalle debiti e disperazione. Poi, però, sono subentrate la vergogna e la paura di parlare con i propri cari. “E proprio per questo in molti pensano al suicidio – spiega la dottoressa Francesca Picone, dirigente medico psichiatra del progetto Gap – un rischio altissimo per chi, in questi casi, pensa di non avere più alcuna speranza. Dal 2006, anno della nostra apertura, 870 persone si sono rivolti a noi, ed ogni anno i pazienti aumentano quasi del doppio. Io e due psicologi facciamo fronte ad un carico di lavoro davvero imponente. Negli ultimi anni la gente ha cominciato a percepire che si tratta di un disturbo e non di un vizio ed è importante che questo messaggio passi e conviva con campagne informative in grado di far prendere coscienza di questa patologia”.
Ma è dura. Chi gratta l’ennesimo ticket, chi gioca la sua schedina quotidiana o scambia gli ultimi cento euro sperando di imbattersi sulla dea bendata al videopoker, crede sempre che sia la volta buona. Ad ogni perdita di denaro corrisponde il puntuale tentativo di riprovare a vincere: voglia di rivalsa e frustrazione creano un esercito di giocatori in grado di fare ingoiare alle macchinette anche l’ultimo centesimo rimasto in tasca. Un flusso senza fine, dentro il quale chi gioca “si trova in uno stato alterato della coscienza, una sorta di trans dissociativa”, sottolinea la dottoressa Picone. A giocare in modo più compulsivo sono i giovani con un’età compresa tra i venti e i trent’anni – spiega -. Scommettono on line e stare dietro allo schermo permette loro di non avere limiti: hanno sempre tutto a disposizione, non devono recarsi alla cassa per pagare, nessuno li vede”.
Un mondo in cui in molti si rifugiano per scappare dalla vita reale, rappresentato anche da intere sale dedicate alle slot machine, dove il senso del tempo viene meno: angoli bui o luci soffuse, moquette, stanze senza finestre, luci colorate, campanelli, monete che tintinnano. In una sola parola: isolamento. E se, nonostante i numerosi tentativi e i capitali messi in gioco, la vincita non arriva, la depressione è dietro l’angolo. “Da questo punto di vista – prosegue la psichiatra – rileviamo un più alto tasso d’incidenza nelle donne. La stragrande maggioranza tenta la fortuna con i gratta e vinci, altre al bingo o alle macchinette. In realtà, anche in questo settore, si seguono vari trend. Dieci anni fa i pazienti che arrivavano da noi erano totalmente dipendenti dalle scommesse: cavalli, calcio, sport di ogni tipo. Oggi sono sempre più diffusi i giochi che si basano sull’immediatezza, dalle estrazioni dei numeri del lotto, fino appunto, al gratta e vinci. Questa tipologia ha fatto perdere il controllo a molti giocatori, soprattutto agli uomini con una età compresa tra i 40 ed i 55 anni”.
E una volta riconosciuto il problema, “disintossicarsi” non è semplice. Sono necessari tempo e terapie adeguate. “Ogni storia è un caso a sé – aggiunge la dottoressa Picone – e dipende da moltissimi fattori. Alcuni pazienti sono riusciti ad allontanarsi del tutto in otto-dieci mesi, altri hanno dovuto intraprendere un percorso più lungo, anche di cinque anni. E’ il caso di un uomo che aveva cominciato a scommettere da giovane, aveva girato tutti i casinò d’Italia. Si è rivolto a noi quando la moglie aspettava il loro primo figlio: a lei non aveva mai detto nulla dei suoi problemi con il gioco d’azzardo, ma sapeva che non poteva continuare a vivere in quel modo. Nei miei confronti aveva un atteggiamento di sfida, il confronto rappresentava probabilmente l’ennesima scommessa, quella in cui si sarebbe giocato la sua stessa vita. Ma alla fine ce l’ha fatta, ne è uscito nonostante il percorso doloroso e faticoso che ha dovuto affrontare”.