PALERMO – In tanti, tra gli esponenti politici di ogni colore, dal presidente dell’Ars Francesco Cascio al segretario regionale del Pd Giuseppe Lupo, lo avevano definito un “provvedimento scellerato”. Adesso anche il Tar Sicilia solleva dubbi molto forti sulla legittimità del decreto dell’assessore Massimo Russo che ha previsto l’accorpamento dei laboratori di analisi. E intanto, dà ragione ai titolari dei laboratori, “stoppando” la fusione degli stessi laboratori nei “macroconsorzi”. “I supermarket della Sanità”, così li aveva bollati Pietro Miraglia, presidente di Federbiologi, e uno delle decine di ricorrenti contro il provvedimento dell’assessore. Che, tra l’altro, spiegano i giudici, supera chiaramente i limiti dell’”ordinaria amministrazione”, concessi a un governo dimissionario, come è quello della Regione siciliana.
In particolare, il Tar è intervenuto su uno degli articoli del decreto assessoriale 1629 apparso sulla Gurs il 31 agosto scorso. Ma un articolo non di poco conto. Visto che rappresenta il “cuore” della questione. “Le strutture private convenzionate che alla data del 31 dicembre 2012 non abbiano raggiunto la soglia minima di n. 100.000 prestazioni – così recita l’articolo 7 del decreto – non potranno più essere contrattualizzate e, quindi, non potranno più erogare prestazioni per conto del servizio sanitario regionale. A partire dall’1 gennaio 2013 potrà essere rinnovato il contratto solo alle strutture che, alla data del 31 dicembre dell’anno precedente quello di contrattualizzazione, avranno dimostrato il raggiungimento della soglia minima di n. 100.000 prestazioni/anno calcolata in applicazione dei precedenti artt. 4 e 5 e che rispettano gli ulteriori requisiti di cui all’art. 6 del presente decreto”.
Questo, insomma, il primo “step” fissato da Massimo Russo. Il laboratori con meno di 100 mila prestazioni all’anno avrebbero dovuto “chiudere”, per essere inglobati in consorzi di dimensioni ovviamente maggiori. Ma la soglia si sarebbe alzata due anni dopo. “A partire dall’1 gennaio 2015 – prosegue l’articolo – potrà essere rinnovato il contratto solo alle strutture che, alla data del 31 dicembre dell’anno precedente quello di contrattualizzazione, avranno dimostrato il raggiungimento della soglia minima di attività di n. 200.000 prestazioni/anno calcolata in applicazione dei precedenti artt. 4 e 5 e che rispettano gli ulteriori requisiti di cui all’art. 6 del presente decreto”.
Disposizioni che avevano suscitato in passato le reazioni furenti di molti “addetti ai lavori”. A partire dai componenti della commissione Salute all’Ars, presieduta da Giuseppe Laccoto, per finire, negli ultimi giorni, con esponenti politici di tutti i partiti, e anche con alcuni rappresentanti di categoria, come Pietro Miraglia, presidente di Federbiologi: “Si vuole creare cinque ipermercati della Sanità. Mentre i piccoli laboratori, alla fine, finiranno per essere acquistati da grandi potentati, magari non siciliani…”. L’assessorato, dal canto suo, aveva fatto riferimento all’obbligatorietà dell’introduzione di queste norme “alla verifica delle quali – spiegava il dirigente generale Lucia Borsellino – sarà erogata alla Sicilia una ulteriore quota di 240 milioni”. E in effetti, proprio oggi il ministero della Salute ha espresso parere favorevole sullo schema di “decreto proposto dalla Regione siciliana in tema di razionalizzazione dei laboratori pubblici e privati”.
Ma il decreto di Russo non ha convinto il Tar. Soprattutto in quel passaggio nel quale si prevede appunto l’accorpamento. Pur non decidendo nel merito, i giudici hanno riconosciuto, con due sentenze identiche, il diritto dei ricorrenti ad ottenere la sospensione cautelare del provvedimento. Nel merito si entrerà il 24 ottobre prossimo. Ma già in questa decisione del Tar emergono alcune valutazioni abbastanza chiare su un decreto che, a detta dei giudici, “è immediatamente e gravemente lesivo delle loro posizioni; il precetto, invero, – si legge nella sentenza – interviene a otto mesi dall’inizio del corrente anno 2012 così che il termine residuo di quattro mesi è obiettivamente del tutto inidoneo per consentire alle strutture ricorrenti sia una ricerca di soluzioni alternative utili sia a raggiungere il risultato imposto con previsione assolutamente nuova rispetto al precedente contesto di riferimento”. Insomma, secondo il Tar, i piccoli laboratori non avrebbero avuto il tempo di cercare una via d’uscita all’inevitabile accorpamento in grossi consorzi. “La disposizione, infatti, – proseguono i giudici – sembra risolversi in preavviso temporale a carattere perentorio di un’autonoma e diversa causa di perdita dell’accreditamento (e non solo della conseguente convenzione) al di fuori di un quadro di garanzie formali, sostanziali e perfino di ordine procedurale; divenuto l’accorpamento tra strutture – si legge sempre nella sentenza – una soluzione forzosa ne discende che anche i tempi tecnici per consentire alle parti accordi coerenti con il principio di autonomia privata e della libera iniziativa appaiono estremamente ridotti, per non dire iugulatori, con evidenti e talora gravi riflessi per le strutture dotate di minore capacità prestazionale, che assumono la posizione di contraente debole nei confronti di quelle che già superano la soglia di 100.000 prestazioni annue”.
Un po’ il concetto espresso proprio da alcune associazioni di categoria, o dai singoli titolari dei laboratori, secondo cui il decreto non avrebbe fatto altro che “constringerli” a vendere a gruppi economicamente più forti. Anche perché il decreto non contemplerebbe, secondo i magistrati, “una disciplina quadro o quanto meno una serie di garanzie per la protezione del contraente debole e delle professionalità della struttura medesima, con negativi riflessi in tema di mercato interno e tutela del libero esercizio delle professioni sanitarie”. Infine, il Tar sottolinea come l’assessore Russo abbia travalicato, in questo caso, i limiti fissati per un governo dimissionario: quelli, cioè, rappresentati dalla possibilità di compiere solo atti di “ordinaria amministrazione”. “Il precetto in questione, – scrivono infatti i giudici – proprio per le enunciate caratteristiche, assume indubbia portata innovativa, con ciò traguardando il consueto limite dell’ordinaria amministrazione al quale, anche in adesione agli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale e alla ratio statutaria, l’amministrazione regionale dimissionaria è bene si attenga”. E l’amministrazione regionale fa sapere che “finora il provvedimento non è stata notificato ufficialmente all’assessorato alla Salute. Quando verrà trasmesso, verrà valutato attentamente, anche in vista di un possibile ricorso al Cga”.