PALERMO – Le disposizioni contenute nel nuovo decreto firmato ieri da Giuseppe Conte hanno trasformato l’Italia in un’unica ‘zona rossa’, ma la vita quotidiana delle comunità del Palermitano che ospitano minorenni in difficoltà è rimasta sospesa nell’incertezza. Lo denunciano alcuni gestori delle oltre cento strutture del Palermitano, che tutelano e si prendono cura di circa 800 ospiti in totale. Le misure nazionali di contrasto al Coronavirus sono state recepite dal Comune di Palermo, ma nonostante una comunicazione scritta dell’assessore alla Cittadinanza solidale, Giuseppe Mattina, ci sarebbero ancora molte ombre sui comportamenti da adottare.
In una comunicazione ufficiale rivolta anche agli enti del terzo settore, l’assessore impartisce la limitazione degli “accessi non necessari alle case di riposo, alle comunità, ai gruppi appartamento e luoghi assimilabili”, specificando che invece “gli altri servizi non indispensabili vanno sospesi e riattivati a fine emergenza o rimodulati previa autorizzazione da inviare al servizio competente”. Fra i responsabili delle comunità però aleggiano dubbi su quali dei servizi resi possano essere considerati accessori o meno.
Roberta Anello ha fatto presente al Tribunale dei minori di Palermo la sua decisione di sospendere le visite dei genitori in una delle comunità che gestisce. “Ho ritenuto giusto farlo per il bene degli ospiti – dice, spiegando che a condividere la sua posizione sono una decina di altri gestori – basandomi anche sulle interruzioni degli incontri negli spazi neutri pubblici di Palermo e Bagheria, dove avvengono quegli incontri genitori-figli che per varie ragioni è necessario monitorare. Mi sono semplicemente comportata come gli enti pubblici che svolgono questo servizio. L’aspetto grave però – aggiunge – è che le comunità non hanno una direttiva specifica da seguire, pur parlando di bambini piccoli che una volta a settimana vedono i genitori come stabilito dal giudice, correndogli incontro, abbracciandoli, cercando contatti fisici. Così ogni comunità può agire in maniera diversa”.
Per ovviare come possibile alla limitazione, nella comunità sono state incrementate le telefonate fra i piccoli ospiti e i loro genitori, “anche ogni giorno anziché una volta a settimana, sperando che le mamme e i papà comprendano che è solo una tutela nei confronti dei bambini. Come si fa a far rispettare la distanza di sicurezza a bambini da zero a cinque anni?”, chiede Anello, esprimendo perplessità anche su compiti e responsabilità degli operatori: “Nelle comunità in cui sono presenti le mamme, l’operatore dà indicazioni; dove le mamme non ci sono, i bambini da zero a cinque anni ovviamente devono essere seguiti in tutto, dalla doccia, al dar loro da mangiare, al cantargli la ninna nanna. Abbiamo guanti e mascherine – precisa – e ci atteniamo alle misure del decreto seguendo tragitti precisi e solo necessari, ma materialmente al momento non abbiamo altri strumenti. Sicuramente fra questi non c’è la possibilità di non andare in comunità, che per noi è necessità e lavoro – sottolinea – soprattutto perché tutte le attività al di fuori sono interrotte e i nostri ospiti hanno solo noi”.
“Abbiamo fatto la scelta di informare i genitori della sospensione di visite e prelievi in via del tutto precauzionale – afferma Loredana Carieri – non sapendo di un eventuale contagio in corso, ma non tutti si sono trovati d’accordo e ci è stato dato un preavviso di eventuali azioni legali contro di noi. Cosa possiamo fare? Consegniamo i figli ai genitori o no? E una volta che devono tornare in comunità, come facciamo a riaccoglierli senza sapere dove sono stati, che hanno fatto o chi hanno incontrato? Il Tribunale non si pronuncia – ribadisce – ma noi non possiamo che demandare tutto proprio al Tribunale. Nel frattempo però stiamo dando brutti segnali agli ospiti, che non sanno quali direttive seguire e non capiscono fino in fondo perché sono così importanti, e mettiamo anche a repentaglio la salute del personale. Come se non fosse già abbastanza, per contenere l’emergenza Coronavirus, dover respingere richieste di abbracci da persone giovanissime e fragili”.