PALERMO – “Lui mi guardava… ma che sta succedendo? ma che c’è? Ormai gli dissi… mah… quello che vogliono ci dobbiamo prendere… pazienza… pazienza… pazienza”, diceva Rosalia Di Salvo, riportando il contenuto di un colloquio con il fratello detenuto per cercare di consolare Grazia Potano, a cui quindici giorni prima avevano ammazzato il marito. Perché Grazia è la moglie di Giuseppe Di Giacomo, l’uomo crivellato di colpi l’11 marzo 2014 per le strade della Zisa.
Le donne dei mafiosi devono seguire la strada che qualcun altro ha tracciato per loro. Vivono l’apparente normalità di una quotidianità che è tutto fuorché normale. Devono restare silenti – spesso conniventi, a volte complici -persino quando intorno c’è il frastuono dei colpi di pistola dei killer. La catena di solidarietà è uno dei pilastri su cui si regge Cosa nostra. La macchina degli aiuti deve mettersi in moto. Anche se, come emerso dalla recente cronaca, la situazione striderebbe con la logica. Come può esserci logica nel fatto che la solidarietà nasca nello stesso contesto in cui è maturato un delitto? Giuseppe Di Giacomo è rimasto stritolato nella partita del potere giocata a Porta Nuova. Gli stessi uomini di Porta Nuova fanno a gara, a cadavere sepolto, per aiutare la vedova.
“Giuseppe Di Giacomo aveva offeso Tommaso Lo Presti che voleva impadronirsi del mandamento e per questo fu ucciso”: le dichiarazioni di Vito Galatolo sono entrate nell’inchiesta sull’omicidio. Il boss dell’Acquasanta e aspirante collaboratore di giustizia dice di avere appreso le notizie da Vincenzo Graziano, altro boss finito al 41 bis: “Lui mi dice il Graziano che l’omicidio Di Giacomo è stato avvenuto che forse… siccome era uscito Tommaso Lo Presti ‘u pacchiuni’, figlio di Totuccio, ed era uscito male intenzionato con tutti dice che si doveva prendere tutte cose nelle mani lui… ci dissi e che cos’è?… . ‘… è stato interno, forse c’è stata una riunione… mi hanno riferito che c’è stata una riunione’”. Tommaso Lo Presti è stato per alcuni mesi uno degli scarcerati eccellenti della mafia palermitana. Indicato come il reggente della famiglia di Palermo Centro e di tutto il mandamento di Porta Nuova. È tornato in cella nell’aprile scorso dopo avere finito di scontare una condanna.
Rosalia Di Salvo, la donna che vedeva nella “pazienza” l’unica via praticabile verso la rassegnazione, è la moglie di un altro pezzo grosso della mafia di Porta Nuova, Gregorio Di Giovanni, che è anche cugino di Tommaso Lo Presti. Rosalia incontra spesso il fratello Giovanni, pure lui detenuto. È rinchiuso a Parma, nello stesso carcere di Giovanni Di Giacomo. Il fratello ergastolano di Giuseppe aveva fatto giungere i suoi saluti alla cognata Grazia : “… ti pensano sempre hanno sempre la testa da una parte… è troppo distrutto… è normale gli ho detto… gli hanno tolto il cuore… lo hanno rotto e glielo hanno messo di nuovo… nessuno se l’aspettava… nessuno capisce il perché… nessuno sta capendo che cosa sta succedendo”.
Premurosa nei confronti della vedova si mostrava pure Giuseppa Lo Presti, moglie di un altro ergastolano, Gioacchino Cillari, ma anche sorella di Tommaso Lo Presti: “… che c’è… eri al cimitero stamattina… che ti devo dire… passiamo una giornata diciamo tranquilla?… che dobbiamo dire pazienza… lo so sangue mio… hai ragione… mi sento male io… pensa tu… è normale non c’è nessuno che ti può dire niente…niente che ti possiamo dire”.
Le donne dei mafiosi hanno mariti e fratelli sepolti all’ergastolo, mentre altri aspettano di sapere se condanne pesantissime diventeranno definitive. Vanno in giro per le carceri di mezza Italia ad incontrare i parenti detenuti. Tra un colloquio ed un altro tornano a casa e si calano nella quotidianità del loro essere madri. Così fanno le mogli dei boss ammazzati. Così fa Grazia Potano, che due settimane dopo essere diventata vedova, aveva un problema da risolvere: “… mi scoppiò la caldaia stamattina, stavamo morendo tutti”. Tracce di normalità in un mondo dove la normalità non può esistere.