PALERMO – Lo ha ribadito più volte: “Non sono un pentito”. Così come ha detto di non avere bisogno di alcuna protezione. Di certo c’è che Vito Roberto Palazzolo ha riempito verbali su verbali. Da sei mesi ormai parla con i magistrati della Procura della Repubblica di Palermo. Il primo effetto è stata la revoca del 41 bis. In pratica, il suo percorso di apertura è già concluso. Siamo entrati nella fase dei riscontri a tappetto sulle sue dichiarazioni. In cui si parla soprattutto di soldi. Soldi a palate investiti in quarant’anni di rapporti con il vertice della mafia siciliana. Non a caso del suo nuovo status si è ora parlato in un processo davanti alla sezione di misure di prevenzione del Tribunale.
Nei mesi scorsi Vito Roberto Palazzolo aveva scritto alla Procura di Palermo per chiedere di essere ascoltato. E il pubblico ministero Gaetano Paci era andato nel carcere di Milano Opera per incontrarlo. La natura riservata del colloquio – non era presente neppure il legale del finanziere – aveva fatto intuire che il tesoriere dei padrini corleonesi volesse davvero svelare i segreti di Cosa nostra. Probabilmente nella missiva, che conteneva la richiesta di parlare con un magistrato, si faceva riferimento alla durezza del 41 bis. Potrebbe essere stato il regime del carcere duro la chiave per aprire la cassaforte dei segreti di Palazzolo.
Il dialogo fra Palazzolo e i magistrati si è dunque riaperto dopo le iniziali ammissioni e lo stop improvviso. Il 19 dicembre 2013 il finanziere di Terrasini era stato estradato in Italia dalla Thailandia dove lo avevano arrestato nel marzo 2012. Deve scontare nove anni per associazione mafiosa. Ci sono voluti trent’anni prima di riportarlo in Italia. Di lui e dei suoi affari si era occupato per primo Giovanni Falcone.
Qualche mese dopo l’arresto, i segnali di apertura. Palazzolo aveva annunciato di volere affrontare dieci temi. Una limitazione inaccettabile per l’autorità giudiziaria italiana, come inaccettabile era la sua richiesta di revisione del processo. E così il suo percorso di collaborazione si era fermato prima ancora di iniziare. I primi giorni di febbraio sul capo di Vito Roberto Palazzolo si è abbattuto il peso del 41 bis. Il carcere duro è insopportabile per la stragrande maggioranza dei boss. Persino uno come Totò Riina ha mostrato segni di insofferenza.
Pochi giorni dopo l’inizio delle restrizioni carcerarie, la moglie si era fatta viva in Procura. Poi, il marito ha scritto ai magistrati. E sono cominciati gli incontri riservati. Ora la notizia è ufficiale. Palazzolo ha collaborato con il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Dario Scaletta, Francesco Del Bene e Gaetano Paci. Quest’ultimo, nel frattempo, è andato a fare il procuratore aggiunto a Reggio Calabria.
Sono ormai un ricordo lontano i giorni in cui il finanziere di Terrasini se ne stava nella sua lussuosa villa di Città del Capo, protetto da una rete di amicizie importanti. Lontano dalla Sicilia, in particolare in Sudafrica, ha fatto soldi a palate. Una dimestichezza con il denaro che gli è servita per guadagnarsi sul campo i gradi di riciclatore dei soldi dei mafiosi. Di Riina e Provenzano come hanno dimostrato le indagini. Palazzolo, affiliato al clan di Partinico, si è sempre messo a disposizione dei boss siciliani. Alcuni li avrebbe pure ospitati mentre erano latitanti.