PALERMO – Un tesoro sterminato. Milioni e milioni di euro investititi in mezzo mondo. Se c’è qualcuno che conosce i segreti economici della vecchia e nuova mafia non può che essere Vito Roberto Palazzolo. E nei verbali resi ai pubblici ministeri di Palermo ci sono le tracce per risalire agli investimenti. Toccherà agli investigatori ricostruirli per verificare la piena attendibilità del racconto dell’uomo che rifiuta l’etichetta di collaboratore di giustizia. Le deleghe per le indagini sono già state distribuite a tappeto.
Che sia considerato attendibile lo dimostra il fatto che gli sia stato revocato il carcere duro. Palazzolo non è più al 41 bis. Bisogna capire se abbia raccontato davvero tutti i segreti che conosce. Dai corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano al capomafia di Bagheria, Leonardo Greco, al boss di Pagliarelli Nino Rotolo. Nei verbali di Palazzolo ci sono i nomi del gotha di Cosa nostra. Inevitabile che gli venissero chieste notizie sulle vicende della trattativa fra la mafia e lo Stato. Il processo in cui è stata svelata la sua collaborazione è quello sul sequestro dei beni della famiglia Nania di Partinico che avrebbe custodito e investito i soldi dei Vitale di Partinico in giro per il mondo. Un tema che lui dice di conoscere, ma forse non fino in fondo. Sono gli investimenti, però, il principale obiettivo dei pubblici ministeri Vittorio Teresi, Dario Scaletta e Francesco Del Bene.
Nell’aprile 2012 Palazzolo fu scovato a Bangkok. Il fiuto dei carabinieri del nucleo investigativo di Palermo, del Ros e dell’Interpol lo bloccarono in aeroporto. Sul boss, partito da Terrasini e diventato un potente uomo d’affari del Sud Africa, pesava una richiesta di estradizione della procura di Palermo. Che mesi dopo fu accolta. La sentenza di condanna a suo carico divenne definitiva il 13 marzo 2009. Prima e dopo questa data c’è la storia di un uomo che lontano dalla Sicilia ha fatto soldi a palate. Palazzolo, affiliato al clan di Partinico, si è sempre messo a disposizione dei boss siciliani. Alcuni li ha pure ospitati mentre erano latitanti. In Sud Africa trovarono riparo, nel 1996, Giovanni Bonomo e Giuseppe Gelardi, legati al capomafia Giovanni Brusca.
La condanna a 9 anni che deve scontare riguarda episodi successivi al 29 marzo 1992. Per l’epoca precedente, infatti, è stato assolto dal reato di mafia, non da quello di avere fatto parte di un’associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. E chi c’era imputato assieme e a lui? Una sfilza di padrini. Da Pasquale Cuntrera a Pasquale Caruana, da Leonardo Greco a Totò Riina. Erano gli anni della Pizza Connection, quando la mafia siciliana acquistava tonnellate di morfina in Turchia, la raffinava in Sicilia e poi riempiva il mercato americano di eroina, spacciata attraverso una fitta rete di pizzerie e ristoranti gestiti da siciliani espatriati. Gli incassi, milioni e milioni di bigliettoni verdi, venivano riciclati in Svizzera grazie alla preziosa collaborazione di Palazzolo.
Nel paese elvetico Palazzolo fu arrestato il 20 aprile 1984 su ordine della magistratura siciliana. Per evitare l’estradizione confessò di avere commesso un reato in Svizzera. E lì rimase fino alla fuga. Approfittando di un permesso natalizio di trentasei ore, il 24 dicembre 1986, salì su volo per il Sud Africa. Il passaporto svizzero esibito alla frontiera ed intestato a Stelio Domenico Frappoli, suo compagno di cella, non destò sospetti e gli consentì di mettersi in tasca un permesso turistico valido fino al 21 gennaio 1987. Quando la notizia venne a galla Palazzolo decise di darsi una nuova identità. Gli bastò trasferirsi nella Repubblica indipendente del Ciskei (una piccola enclave riconosciuta solo dal Sud Africa e oggi riassorbita nel territorio di quest’ultimo) e pagare 20.000 rand, che oggi varrebbero duemila euro, per diventare il signor Robert Von Palace Kolbatschenko. Da qui in Namibia dove, grazie al matrimonio con Tsirtsa Grunfeldt, una donna di origine israeliana, si cucì addosso i vestititi della apparente rispettabilità.
A quel punto anche per il Sudafrica smetteva di essere un ospite indesiderato. Il vecchio Vito Palazzolo, con il suo scomodo passato, non esisteva più. Non per gli investigatori e i giudici italiani che ne hanno ricostruito la carriera criminale. Impossibile cancellare con un colpo di spugna gli anni della Pizza Connection. Montagne di soldi arrivavano in Svizzera nascosti nel doppiofondo delle valigie. Trecentomila dollari ad ogni viaggio. Poi, quando i boss capirono che era troppo rischioso, Palazzolo si inventò la compensazione tra istituti bancari e società finanziarie con sedi a New York e in Svizzera. All’epoca, infatti, era titolare della società Pa.Ge.Ko., ufficialmente operante nel settore della progettazione, della locazione e della vendita di complessi immobiliari e industriali. Un colosso con sedi in Svizzera e Germania, e filiali a Montecarlo, Honk Kong e Singapore. La Pa.Ge.Ko è stata consociata con la Cristel Biersak Import Export Gmb con sede a Costanza, il cui amministratore era Antonino Madonia della famiglia mafiosa di Resuttana. Le inchieste per riciclaggio hanno coinvolto anche i familiari di Palazzolo: il fratello Pietro Efisio, la sorella Maria Rosaria, la cugina Anna e il marito Achille Fassina. Alcuni miliardi di lire e qualche milione di dollari statunitensi, provenienti dal traffico internazionale di droga, furono trasferiti, a fine anni Ottanta, da Terrasini a Lugano tramite tali Franco Campisi e Vittorio Gregis. A Lugano le somme venivano consegnate a Frapolli, l’uomo del passaporto, e da qui portate a Singapore da alcuni corrieri di origine elvetica, dove venivano consegnate a Pietro Efisio e reinvestite in beni immobili e attività commerciali in Sud Africa. Paese dove in passato risultavano contatti tra Palazzolo con Andrea Manciaracina, reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo. La sorella Sara sarebbe la persona con cui Palazzolo ha mantenuto, fino all’arresto in Thailandia, i contatti con la Sicilia. Per parlare utilizzavano i telefoni pubblici.
In Sud Africa Palazzolo ha costruito una fortuna. Gestiva le sorgenti di Franschhoek, a Città del Capo, la cui acqua riempiva le bottiglie “La Vie” servite a bordo degli aerei della “South African Airways”. È stato anche titolare di due corpi di vigilanza privati, Ops e Pro-Security, composti da cittadini russi e marocchini, noti per avere stretto nella morsa del racket alcuni commercianti italiani a Città del Capo. Ed ancora, Palazzolo era proprietario, assieme ad altri soci, dell’esclusivo night Hemingway Club, di gran moda fra gli italiani. Affari in corso anche in Namibia dove divideva con un cittadino di origine ebraica, Steve Phelps, la proprietà di un allevamento di struzzi da riproduzione. Un business che Palazzolo avrebbe voluto esportare in Sicilia. In Angola l’ex latitante era socio della “Rcb Corporation L.d.a.”, che si occupava dell’estrazione di pietre preziose. Tra i suoi contatti c’era anche un tale Mattei Santarelli, arrestato per ricettazione nel 1991 a Windhoek, sempre in Namibia, e segnalato per possesso illegale di pietre preziose. Roba da un miliardo di lire. Anche il fratello Pietro Efiso Palazzolo si è messo in affari con i diamanti. A Città del Capo è proprietario, infatti, della compagnia Von Palace Diamond Cutter. I diamanti, evidentemente, sono una passione di famiglia.