I clienti dello zio Nino, barbiere provetto di piazza Europa, con la bottega a due passi dallo stadio ‘Barbera’, sono preoccupati. Chiacchierano con amarezza, tra un taglio e un’occhiata alla Gazzetta dello sport che assume quel caratteristico odore di lozione, passando di mano in mano. Una sola parola sussurrano, irrequieti: “Zamparini”…
Anche nei pressi del vicino bar “Zamparini” è il suono più frequente. Il caffè a corredo di una gigantesca arancina compone un viatico obbligatorio, prima di affrontare il cardiopalmo della partita casalinga del Palermo. Da lì – da piazza Europa, una volta abbandonata la macchina sul marciapiede – migrano eserciti di tifosi; si notano, per via del giovanile entusiasmo, drappelli di cinquantenni che furono adolescenti negli anni Ottanta e venerano ancora l’antico album delle figurine Panini. Tra le stropicciate pagine, spiccavano facce truci di stopper, adulti già a vent’anni. Ecco perché quei ragazzi che circumnavigarono l’Italia campione del mondo, diventati genitori a loro volta, scorgono in ogni calciatore un papà, qualunque sia la sua età anagrafica.
Zamparini, Zamparini, Zamparini. Ovunque si ode mormorare alla stregua di un mantra il nome del piccolo padre dei tifosi rosanero, barometro di mestizia e di gaiezza. Nel punto più profondo del cuore a forma di vecchio pallone a spicchi – lì dove l’aficionado soffre le pene dell’inferno e conosce le gioie del paradiso, dipende dal risultato – il signore incontrastato è il sor Maurizio. Lo amiamo. Lo odiamo. Lo troviamo insopportabile e un attimo dopo gli accendiamo un cero. Soprattutto, lo odiamo e lo amiamo insieme, sotto il peso di una dolce condanna: ormai c’è entrato nel sangue, Maurizio Z., come uno di casa, un attrezzo familiare dei sogni o degli incubi, un’essenza di delusioni ed entusiasmi. Comunque sia, non possiamo farne meno.
Perfino adesso che il cielo è cupo, mentre il presidentissimo epura calciatori con cipiglio sbrigativo, sprizzando tuoni e fulmini, l’appassionato vestito di rosa & di nero non molla il patron che in apparenza contrasta, per via degli inciampi di una squadra dimessa. Nessuno si lasci ingannare dalle discussioni sui social: è solo la spuma ribollente di un rancore di cartapesta che cerca lo scenario dell’intimità, della sicurezza, per ricomporre il legame affettivo, con i suoi nodi perfettamente riconoscibili.
Primo nodo. ‘Zampa’ offre comunque una bussola, nella tranquilla gestione della sua imprevedibilità. Cosa, in un’epoca folle, rassicura meglio di una consuetudinaria follia, costellata da esoneri incredibili, mattane e dichiarazioni che si autodistruggono un minuto dopo? Almeno lui non bluffa, nella sua contorta naturalezza: appare riconoscibile. Che c’è di più affidabile del reiterato ghiribizzo nell’era dei deragliamenti delle linee rette? Fuori e dentro il campo – tra spezzoni di cantieri e grovigli tentacolari alla Johnny Stecchino – regna re Maurizio, con la sua bonomia pazzerella; presidio di cangiante certezza, simbolo dell’unico dibattito pubblico che non giaccia sepolto dall’indifferenza: la critica sul rigore non dato. Di cos’altro sarebbe utile discutere, quaggiù, a Palermo, senza ammanettarsi alla depressione?
Di ghiribizzi e rovesci zampariniani, smisurati e ciclici, sanno qualcosa gli allenatori chiamati sul fuoco di una panchina bollente. Da qualche parte, in viale del Fante, nella sede della società, deve esserci uno scantinato con i quadri appesi degli eliminati in posa, a ricordare la fiaba delle mogli di Barbablù. Tutti lì, in fila: dal profilo ascetico di Francesco Guidolin alla pupilla sbarrata, dietro il cappellino, dell’onesto Beppe Iachini. Eppure, sotto sotto, il popolo minuto gode degli scarti di umore dell’onnipotente, del solitario al comando, che lancia il tavolo per aria, quando gli garba. Le scelte che si giustificano con l’arbitrio assoluto di chi le compie affascinano i residenti nella capitale del prestigio.
Altro, annodatissimo, nodo. Zampa rammenta noti personaggi, cari alla mitologia pallonara, scolpiti in bassorilievo nella nostalgia. Piace perché è sanguigno come Costantino Rozzi che fu il santo patrono dell’Ascoli, perché parla schietto come il pisano Romeo Anconetani, perché sa dotarsi, all’occorrenza, di un’ironia puntuta e loquace, come il romanista Dino Viola. Lo osservi – il tellurico Zampa – e ti viene in mente la sigla di ‘Novantesimo minuto’, col suo amarcord di batticuori tramontati. E sarà pure un accorto mercante come sostengono i suoi detrattori, però ha garantito risultati e ripopolato un culto che qui non erano moneta corrente.
Ecco alcuni segmenti di un’attrazione fatale tra l’uomo di Sevegliano, Palermo e il Palermo. Ma c’è ben altro e riguarda la Storia. Maurizio Zamparini prese un titolo sportivo derelitto per portarlo lassù, dove nessuno ricordava più di avere respirato a pieni polmoni, curando al tempo stesso le ferite di una città che si rispecchiava nei suoi sogni in frantumi. E’ il nodo ultimo, che non si scioglie. Le biografie di Palermo e del calcio a Palermo coincisero nella notte della prima promozione, quando i fedelissimi della sciarpetta e gli apostati ignari delle curve imbandierate si abbracciarono in un’esplosione incontrollabile di sentimenti, ognuno sentendosi, a suo modo, promosso e migliore, non più periferia di un’illusione.
Quei percorsi ormai si sono separati: la squadra, bene o male, è rimasta ai piani superiori, la città è precipitata nel sottoscala, né si può dire con certezza che abbia smesso di sprofondare. Prigioniera fra macerie e vagheggiamenti, la gente non ha mai scordato la notte in cui ballò, aspettando l’alba della serie A, confusissima e felice. Perciò non rinuncia – nonostante le intermittenze del ‘ti amo’, ‘ti odio’ – a tenersi stretto colui che ha reso possibile quella sconfinata gioia, nonostante i suoi errori, la sua retorica spicciola e certe pose da balcone.
Per amore solo per amore, ogni settimana, schiere, traboccanti di caffè e arancine bomba, si recano al tempio di Eupalla, la capricciosa dea di cui fu gran sacerdote Gianni Brera. Confidano nel cielo sereno che verrà, a prescindere dai sospiri. I cinquantenni accompagnano i figli, tramandano la fede, introducendoli all’altalena di sorrisi e amarezze, canone del rosa e del nero. L’anima immacolata di Renzo Barbera veglia sulle orazioni di chi non vorrebbe sperimentare l’onta di una rinnovata retrocessione. Gli esorcismi si sprecano: San Renzino, assisti Gilardino… Santa Rosalia, la sconfitta porta via… Sembra poco, invece è tutto. Cos’altro rimane, quaggiù, nella trincea di Palermo?
Ps. E chissà che, negli imperscrutabili percorsi zampariniani, non torni di nuovo utile Beppe Iachini.