Tutti conoscono don Bosco come il santo dei giovani, l’inventore degli oratori dove accogliere adolescenti malandati e irrequieti insegnando loro un mestiere e avvicinandoli a Dio. Eppure, esattamente tre secoli prima, un altro gigante della carità si dedicò agli stessi ‘scavezzaccolli’ chiassosi e difficili: Filippo Neri, il “Giullare di Dio”, noto per il suo umorismo e la sua allegria.
Proprio questo nome evoca il quartiere ‘Zen’ di Palermo, sotto i riflettori per vicende di cronaca nera, ribattezzato anni fa ‘San Filippo Neri’ nel tentativo di scrollarsi di dosso il marchio dell’emarginazione e del disagio.
Lo ha ricordato l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice ai funerali di Paolo Taormina, il ventunenne ucciso barbaramente da un altro giovane reo confesso, originario dello Zen, mentre cercava di sedare una rissa dinanzi al suo locale. L’ex sindaco Leoluca Orlando allora proclamò: “Non più Zen, stigma di violenza, ma San Filippo, nome di speranza”.
Peccato che, nella quotidianità, prevalga ancora il termine sbrigativo ‘Zen’ (Zona Espansione Nord) – Zen 1 e Zen 2 – con il suo carico di giudizi forse affrettati e pregiudizi consolidati.
Un labirinto di cemento nato negli anni ’60 e ‘70, una scommessa urbanistica virtuosa per circa 21mila abitanti, non da oggi lo ‘Zen’ è una periferia definita ‘a rischio’: alta dispersione scolastica, abusivismo, spaccio di droghe, faide con sparatorie e microcriminalità che dilaga nei cosiddetti salotti buoni, nelle aree residenziali e nel centro storico, nel cuore della movida palermitana seminando paura e insicurezza a causa di numerose aggressioni, sovente con protagoniste bande di minorenni, a danno di inermi cittadini.
Minorenni, non di rado con alle spalle famiglie complicate, facili prede di capi e capetti mafiosi e criminali senza scrupoli, affascinati da modelli negativi che crescono disprezzando il valore della vita e della comunità. Armi incredibilmente disponibili – come la pistola usata per uccidere Paolo – disoccupazione giovanile alle stelle e povertà endemica: i dati online, semplici da reperire, parlano chiaro in proposito, percentuali deprimenti.
Ma guai a generalizzare. Il male, è vero, fa più rumore del bene, ed infatti solo una piccola minoranza dei residenti è invischiata in attività illecite. La maggioranza è un esercito di persone perbene, un immenso mondo positivo di insegnanti, sacerdoti, religiosi, associazioni, volontari – artefici di laboratori di legalità e affrancamento dalla ghettizzazione – operai, impiegati, professionisti, madri e padri che ogni giorno si rimboccano le maniche per costruire un futuro migliore, soprattutto per i ragazzi del quartiere.
Da soli però, inutile negarlo, non ce la fanno, non possono farcela. Serve l’intervento deciso della politica, delle istituzioni e dello Stato: non soltanto retate e repressione – indispensabili – ma politiche strutturali per sradicare precarietà, degrado, per dare servizi e luoghi educativi di aggregazione a favore dei bambini e dei giovani. Un appello che, ahinoi, riguarda molte delle periferie palermitane. Insomma, magari bastasse cambiare un nome per cambiare la realtà, occorre ben altro.

