Zenga: "Sono maniaco e me ne vanto" - Live Sicilia

Zenga: “Sono maniaco e me ne vanto”

In questa intervista di Roberto Beccantini de "La Stampa", Walter Zenga si racconta, racconta le sue ambizioni e il suo rapporto con Zamparini. Dice che Jankovic è il più forte dei giocatori che abbia mai allenato e svela di non avere rimpianti per la lunga gavetta: "Mi sento ricco dentro"
SCELTI PER VOI
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4 min di lettura

Di Roberto Beccanini (tratto da “La Stampa”)

Walter Zenga, da Catania a Palermo: un altro mondo o, semplicemente, un’altra bottega?
“Un altro anno. Con attese diverse e più forti. Per principio, sul piano didattico, cerco di non ripetermi mai. Mi piace cambiare, improvvisare, aggiornarmi. Abbasso il copia e incolla”.

A Ferrara e Leonardo subito ponti d’oro: la Juventus, il Milan. Lei, invece, ha dovuto battere i marciapiedi di mezzo mondo. Geloso?
“Non me ne può fregar di meno. Beati loro. Non li invidio, mi tengo la mia gavetta, la cultura e le lingue che ho imparato dalla Romania agli Usa, dalla Serbia alla Turchia. Se sono arrivato tardi, pazienza: mi sento “ricco” dentro, e questo mi basta. Per ora”.

Ma davvero senza Ibrahimovic sarà un altro campionato?
“Nel calcio non sempre uno più uno fa due, ma mi pare che le squadre siano mediamente cresciute e l’Inter abbia perso il giocatore che faceva reparto da solo e aveva firmato gli ultimi cinque scudetti”.

Lei, che è stato un grande del ruolo, come giudica il portiere del Duemila: evoluto o involuto?
“Quando ero ragazzo, sentivo i vecchi che dicevano sempre: ai miei tempi sì che eccetera eccetera. Non è giusto pensare sempre “al passato”. Ognuno è figlio della sua epoca”.

Sorpreso dal boom della scuola brasiliana?
“In parte. Ma vede, una volta non c’era mica tutta ‘sta tv e, dunque, dei brasiliani giravano solo i gol di Pelé e i dribbling di Garrincha. Siamo sicuri che già allora il Brasile non avesse portieri all’altezza di Gilmar?”.

E la scuola italiana?
“Dicono che sia in crisi. Non mi risulta. Le butto lì tre nomi, tre giovani: Marchetti del Cagliari, Viviano del Bologna, Consigli dell’Atalanta. Il ricambio è assicurato”.

Da ragazzo, quel è stato il suo modello? E da tecnico, quale il suo riferimento?
“Quando facevo il raccattapalle a San Siro, sognavo dietro Bordon, Albertosi, Lido Vieri, Felice Pulici, lo stesso Giaguaro Castellini. Non c’era che l’imbarazzo della scelta. Come allenatore, potrei andare sul sicuro e citarle Trapattoni o Vicini, invece no, i mister che ricordo con tanto, tanto affetto rimangono Nedo Sonetti, che mi svezzò e lanciò nella Sambenedettese, e Osvaldo Bagnoli, che ebbi all’Inter. Avevano un approccio straordinario. Ci trattavano da persone, prima ancora che da personaggi”.

Zenga maniaco delle punizioni, Zenga che fa abbassare i pantaloncini a Plasmati. Ah, questo Zenga…
“Sul maniaco, concordo e me ne vanto. Sa com’è, parlare di punizioni a un ex portiere è come parlare di corda in casa dell’impiccato. Con il mio staff, studiamo, proviamo e sperimentiamo ogni soluzione possibile. In compenso, nego nella maniera più assoluta di aver suggerito a Plasmati di tirarsi giù le braghe, manco fosse uno schema. Il fatto risale a Catania-Torino 3-2 della stagione scorsa. Fu Plasmati a tirarseli giù, i pantaloncini: perché oggi vanno di moda lunghi e se sei in barriera, abbassandoli, puoi confondere il portiere”.

In giro per il mondo, mai trovato uno come Zamparini?
“Conosco la letteratura che circola su di lui. Zamparini è il padrone del Palermo: ci mette i soldi e, quindi, non deve rispondere che a se stesso. A costo di passare per ruffiano, ma chi mi conosce sa che non lo sono, dichiaro solennemente che preferisco i dirigenti che parlano chiaro e ti urlano in faccia a quelli che tramano nell’ombra e, alla prima occasione, ti pugnalano alla schiena”.

Il più grande talento che ha allenato?
“Bosko Jankovic, oggi al Genoa. Con me alla Stella Rossa realizzò 14 gol e, insieme, vincemmo campionato e coppa”.

L’ultimo scudetto fuori del giro Juventus/Milano/Roma è datato 1991 e appartiene alla Sampdoria di Vialli e Mancini. A quando il prossimo intruso?
“Mi auguro che con i diritti televisivi venduti collettivamente possa muoversi qualcosa. Ma non sarà facile”.

Al Palermo, però, ha “ordinato” di pensare in grande.
“Mai detto che sia da scudetto. Detto e stradetto che dobbiamo puntarvi. C’è una bella differenza. Detesto il pensiero debole, adoro arrivare alla follia senza superarla. Perché aver paura di aver coraggio?”.

Un aggettivo per il suo progetto?
“Strabiliante”.

Capitolo arbitri: favorevole alla moviola in campo?
“No. Il calcio è uno sport dinamico, non statico”.

Da Mascara a Miccoli: la fanteria al potere.
“La fanteria e la fantasia…  Non solo Mascara e Miccoli, però. Anche Giovinco. Soprattutto Diego. Noto con piacere un ritorno al calcio di qualità. E glielo dice uno che, fino a ieri, i giocatori li avrebbe presi a chili e centimetri”.

Un petroliere albanese proprietario del Bologna: se lo aspettava?
“La globalizzazione va e viene: in questo caso, è venuta. Nulla di scandaloso, nulla di stupefacente. Un segno dei tempi”.

Campionato, Champions: i suoi pronostici?
“Calma e gesso. Sul fronte scudetto, devono ancora uscire i calendari e il mercato chiude a fine agosto. Sul versante Champions, saranno i dettagli a decidere. Prenda il Barcellona: ha vinto tutto, ma con il Chelsea era fuori, clamorosamente ma meritatamente fuori. Lo salvò un tiro di Iniesta, l’unico in tutta la partita. Il calcio è anche questo”.

Modello Mourinho o modello Ancelotti?
“Così diversi, così straordinari. Carlo non si discute, José lo seguo e lo apprezzo dai tempi della Coppa Uefa col Porto. E allora: testa o croce”.


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