"Mia cognata, Rita Atria" - Live Sicilia

“Mia cognata, Rita Atria”

Intervista a Piera Aiello
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7 min di lettura

(Questa intervista è stata pubblicata su “S” tempo fa. Parla la cognata di Rita Atria, Piera Aiello. Due donne unite dalla stessa urgenza di dire no al contesto mafioso. Rita – si sa – si uccise, dopo la strage di via D’Amelio. Piera ha continuato a lottare. Riproporre le sue parole, dopo che  un film su Rita Atria – “La siciliana ribelle” – ha commosso tante persone al cinema, significa indagare il senso di una speranza difficile).

Piera Aiello è una donna invisibile. Ha una faccia da non fotografare, un sorriso che devi rimuovere e due occhi che non si possono raccontare. Il suo ruolo di testimone di giustizia ha circoscritto il privilegio della sua identità a una cerchia ristretta di amici e parenti, gli unici a sapere chi hanno davvero davanti. Per gli altri è stato fabbricato un nome falso, è stata sceneggiata una vita che nessuno ha mai vissuto. Anche per la presente intervista le precauzioni sono state giustamente inflessibili. Niente flash, niente descrizioni, un foglietto da firmare a garanzia di discrezione e correttezza. Questo accade perché Piera Aiello non è un tassello qualunque nella storia coraggiosa di coloro che si sono ribellati alla mafia, mettendosi alle spalle i luoghi rassicuranti e le tradizioni di casa. Lei è la cognata di Rita Atria, la ragazzina con lo sguardo spaurito  che maturò la scelta di rompere con i suoi familiari a Partanna e iniziò a collaborare con lo Stato, seguendo l’esempio benigno di Piera. Rita si uccise a Roma, nell’appartamento in cui viveva sotto protezione, dopo la morte del giudice Paolo Borsellino, il 26 luglio del ‘92. Le macerie di via D’Amelio erano ancora calde quando la “picciridda”, a diciassette anni, decise di calare il sipario sull’esistenza, per la fine del magistrato a cui aveva consegnato confidenze inconfessabili la sua speranza di adolescente fragile. Le parole del suo diario socchiudono lo spiraglio di quella tela abbassata di colpo e lasciano intravedere i perché.  Rita scrisse: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta”.
Invisibile Rita che si dissolse nel lampo del suicidio, trafitta dalla solitudine e dalla mancanza di affetti, per avere tentato di mettersi alle spalle un contesto legato ai boss. Invisibile Piera che aveva sposato il fratello di Rita, Nicola, nonostante le diversità e l’inconciliabilità di due universi che si escludevano. Da una parte, la galassia del rampollo di un pastore e “uomo di rispetto” che intendeva vendicare col sangue la morte del padre Vito e fu verosimilmente massacrato per questo sotto gli occhi della moglie. Dall’altra il sistema solare di una donna che avrebbe desiderato diventare agente di polizia e che disse a suo marito – ricevendo in cambio percosse e lividi -: “Quando indosserò la divisa, sarai il primo che farò arrestare”.
E’ sera a Cinisi, a “Casa memoria”, l’abitazione di Peppino Impastato che suo fratello Giovanni ha trasformato, fino a creare un luogo perenne di ricordo per Peppino e per la madre, Felicia. Piera Aiello è appena arrivata per le manifestazioni del trentennale dell’omicidio. La scorta vigila con cortese solerzia. Nadia Furnari, che la segue con dedizione ed è l’anima del sito www.ritaatria.it, veglia. L’intervista può cominciare. La donna invisibile che ha provocato arresti e inchieste con le sue rivelazioni narra le stimmate e l’orgoglio di una vita da testimone.

Piera Aiello, lei stessa nel sito dell’associazione ammette che con suo marito Nicola non andava bene, perché c’erano punti di vista inconciliabili. Come mai decise di sposarlo?
“Lo incontrai quando avevo appena quattordici anni e non avevo esperienza. Lui poi è partito militare, non abbiamo avuto il tempo di conoscerci a fondo. Ho tentato di rompere il fidanzamento e sono stato minacciata. Ricordo ancora le parole di mio suocero, Vito Atria: “Tu puoi fare soffrire mio figlio un anno o sei mesi. Ma alla fine dovrai sposarlo”. Avevo paura per l’incolumità dei miei parenti. La famiglia era il mio punto debole”.

Chi era Rita Atria?
“Una ragazzina molto più grande della sua età. Ragionava come una quarantenne. Aveva respirato a lungo l’aria soffocante di un ambiente che non le dava la possibilità di prendere e ricevere amore. Una volta mi disse una cosa che non dimentico: “Devo rivelarti un segreto, hai fegato?”. Io la guardai intimorita. Lei sorrise: “No, forse è meglio di no”. Ecco, Rita, in apparenza, portava il mondo tutto sulle sue spalle”.

In apparenza.
“Dentro aveva una fragilità e un’innocenza da bambina che non svelava a nessuno. Ce n’è voluto del tempo per conoscerla. La sua famiglia non la comprendeva. Il giorno in cui Rita scappò di casa fu mio padre ad assisterla e a proteggerla”.

Quale era il suo luogo intimo di sfoghi e pensieri?
“Rita aveva un diario che è tuttora sotto sequestro. Annotava i fatti e li commentava, giorno per giorno. Un punto di riferimento prezioso. Nel diario, c’è spazio pure per la sua sfortunata storia d’amore con un ragazzo calabrese. Fu il primo che riuscì a guardare mia cognata per quello che era, non per ciò che rappresentava. La mafia è un universo pieno di bugie e di inganni. Non sai mai chi sei davvero”. 

Chi era Paolo Borsellino?
“Non solo un giudice integerrimo. Era una persona di un’umanità eccezionale, sconfinata. Un uomo molto discreto. Ti stava accanto con affetto sincero e con sensibilità da padre. Non simulava interesse per carpire notizie. Era sincero, genuino”.

Com’è la vita di Piera Aiello, adesso?
“Complicata. Seguo una regola importante: non faccio progetti a lunga scadenza”.

Lei ha una famiglia?
“Ho una famiglia e dei figli. Sanno tutto di me. Non puoi nascondere nulla a coloro che ami e che sono nella parte più bella del tuo cuore. Non è sempre facile andare avanti, l’amore mi sostiene. I problemi incombono perfino per le piccole faccende. Diventa una fatica anche mandare i figli a scuola”.

Perché? Racconti.
“Dovevo iscrivere mia figlia alla classe di un istituto. Non avevo la nuova identità, né i documenti. Come facevo? Ho parlato chiaro col preside: “Senta, io spero che lei non sia un mafioso. Io sono Piera Aiello, mi venga incontro”.

E il preside?
“Mi ha aiutata”.

Il suicidio di Rita poteva essere evitato?
“Sì, con un po’ di attenzione e di sensibilità. La condizione dei testimoni di giustizia può diventare intollerabile. La solitudine ti dilania e non c’è chi riesca a darti davvero una mano. Chi gestisce le vicende dei testimoni dovrebbe essere più vicino ai loro problemi. Spesso non si comprendono le esigenze di chi ha dovuto tagliare tutti i ponti con la sua vita precedente e non ha amici. Io ho vissuto per sei anni senza documenti. Praticamente, non esistevo. E’ un esilio”.

Piera Aiello rifarebbe tutto quello che ha fatto?
“Sì, come scelte di fondo, ma cambierei qualcosa. Non lascerei più il mio paese, non andrei più via”.

Ha paura?
“Non ho mai avuto paura, neanche quando mi sentivo nel mirino”.

Ritiene di essere un bersaglio?
“Spero che mi abbiano dimenticata. Però non mi fido”.

Quando ha visto Rita l’ultima volta?
“Il giorno prima che si uccidesse, in aeroporto”.

Se la sente di raccontare?
“Avevano programmato di trasferirci in un’altra località segreta per proteggerci meglio. All’ultimo momento Rita si oppose. Mi disse: “Io resto qui a Roma, non vado da nessuna parte”. Era sconvolta per la morte del giudice Borsellino e io lo sapevo. Ci siamo abbracciate. Non l’ho rivista più”.

Pensa che, nel momento del commiato, sua cognata avesse già scelto di morire?
“Sì”.
Nel sito dell’associazione ci sono molte pagine del diario di Rita Atria. C’è qualche foto che mostra i fogli originali. La scrittura è minuta e incerta, con le vocali tondeggianti e le parole rivolte verso l’alto. Da qualche parte si legge:

“E’ notte e nel cielo c’è soltanto silenzio
e un gran buio
la città intorno a me è ancora sveglia
e piena di luci
ascolto ma non sento
Quella città è troppo lontana da me
o forse io da lei
Comunque sia non sapere
qual è la mia città mi fa solo capire
quanto sia dolce il dolore
che ci lega ai suoi ricordi”.

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