Il nuovo Paradiso | della classe operaia - Live Sicilia

Il nuovo Paradiso | della classe operaia

Speciale domenica
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Ci invitano e entrare nella morgue, nell’obitorio che raccoglie le spoglie dell’ultimo reperto ideologico dell’antichità. Con un sottile compiacimento, ci spingono a stendere la mano, per toccare il polso esangue della classe operaia. “E’ morta, vedete – ammiccano – d’altra parte ci sono nuove emergenze: i precari, gli immigrati… E che stiamo a pensare ancora agli operai?”. Singolare beneficenza del potere. La nuova sofferenza non deve solidarizzare con la vecchia. Ragazzi, la tavola apparecchiata non è disponibile per tutti. Spintonatevi a dovere al desco delle garanzie. La classe operaia aveva fauci capienti e prepotenti. La sua dipartita è una buona nuova, per voi deboli. Scompare a Termini, con la chiusura della fabbrica. Soccombe con l’onore delle armi a Mirafiori. Certo, sopravvivono gli operai, ma non sono più classe, né falange, né armata di tute blu. Non cambiano lo scorrere della clessidra.  In fila per un boccone di pane, dovranno elemosinare, esattamente come gli altri.

Non ve ne siete accorti? Questo era uno dei significati, al crocevia simbolico dei sensi del referendum di Mirafiori (il dato reale della contesa al massimo rappresentava un pretesto). Era forse il più carsico, il meno confessabile e il più importante. Tuttavia, c’era. E c’era la voglia di menare le mani, di dare un cazzotto in faccia a Volontè, immortalato dalla cinepresa di Petri, ai cancelli della fabbrica in bianco e nero.  E c’era il desiderio di vincere il poker, chissà… con la mano truccata. La classe operaia – innominabile trincea nemica del padrone (se dobbiamo usare i termini dell’ideologia, ripeschiamoli tutti) – vada al diavolo. Il Paradiso non è stato messo a punto per lei.

Noi gli operai di una volta li abbiamo sentiti nominare. Ne abbiamo letto fisionomia e battaglie, in polverosi libri dall’odore acre di muffa… Ma conosciamo benissimo l’identità perenne di coloro che regalano buoni consigli come Marchionne nel tempio, che suggeriscono sobrietà, continenza, cinghia stretta. Sempre agli altri. Hanno il sedere avvitato alla poltrona, su cui siedono per azzeccate relazioni politiche o accentuto pescecanesimo umano. Sono anche in grado do fare quadrare i conti. Il problema è che i loro calcoli non prevedono mai un sacrificio, l’esempio in prima persona. Saranno bravissimi, globalizzati e perfino saggi. Non sono credibili, col cilicio della fame, nella propaganda del digiuno economico, ascetico e ricompensabile.

Noi, ci perdonino i sederi avvitati, di classi operaie ne vediamo invece a iosa, magari senza la consapevolezza di esserlo. La vecchia resiste ancora, non è scomparsa. Accanto, ne sono fiorite di originali e diverse. La tanto decantata flessibilità del mondo rinnovato è appena una moltiplicazione di catene di montaggio, di lavori degradanti senza coscienza, né diritti, agganciati al sistema dalla colla del precariato e dell’abuso. E la politica è una cinica prostituta, incapace di sposare una proposta alternativa, con la sua speranza di lotta incruenta, un schema di riposizionamento sociale già pronto, da cucinare e mangiare. Sorpassati e contemporanei operai si dibattono tra Inferno e Purgatorio.  Come si fa a non sognare un Paradiso?

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