Un grande del giornalismo - Live Sicilia

Un grande del giornalismo

Dallo speciale "I love Francesco" realizzato per il primo anniversario della scomparsa di Francesco Foresta.

I love Francesco
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4 min di lettura

Ci manca, il Pupetto nostro. Ci manca anche perché ci “costringe”, a un anno dalla sua scomparsa, a fare un esercizio di memoria che lui avrebbe senza dubbio detestato, a ripetere tanti grandi o piccoli coccodrilli che gli avrebbero fatto di sicuro storcere il naso, perché – vuoi o non vuoi – finisci con lo scadere nella retorica del banale, del trito e ritrito, dell’elogio troppo facile del morto e meno male che di questa memoria di Francesco, Ciccio o Franco Foresta – il Pupetto, per l’appunto – non si è fatto abuso con (troppi) premi postumi, quelli che ti suonano sempre beffardi, perché quasi si aspetta che uno muoia, per riconoscere che era bravo. E questo non va bene, anche se così va spesso il mondo, o meglio così andava nel secolo decimo settimo, diceva un tale che riesci persino a ricordare senza Google o Wikipedia, e così va nel ventunesimo secolo e andrà in quelli a venire. Ci manca, Ciccio. Nel doloroso adempimento del ricordo ti vengono in mente episodi, aneddoti, storielle più o meno gustose, ma si ricordano i morti e dire che lui non lo è sarebbe sciocco, non gli piacerebbe. Semplicemente, cerchiamo di dimenticarci che non c’è più, Ciccio, e lo sforzo dev’essere quello di andare oltre, di guardare al direttore e fondatore di Live Sicilia come se fosse ancora qui, presente, attivo, propositivo, col suo modo di inventarsi un giornalismo che, a pensarci bene, in realtà è di là da venire e lui lo stava costruendo dal nulla, con la mentalità dello studente del liceo linguistico un pochino lagnusu – così diceva di sé, senza mentire troppo – ma dotato di intelligenza non comune, qualità che si traduceva in una notevole capacità di apprendimento senza una particolare dedizione allo studio e che, nell’età della maturità, età quanto mai difficile, per un immaturo cronico come lui, era diventata sforzo di aprirsi a ogni possibile innovazione, in una ricerca spasmodica di tecniche informative un tempo impensabili, nell’umiltà di farsi spiegare le cose e di impararle pian pianino ma benissimo, da bravo giornalista nato con la Olivetti e con i pezzi da calare, corretti a mano, in tipografia, e che si è poi ritrovato a progettare un giornale senza carta, che entra a casa della gente senza che la gente nemmeno debba fare lo sforzo di cliccare da qualche parte. Ciccio, il Pupetto, era forse un visionario o un veggente, ma anche uno studioso del futuro, uno cui piaceva rischiare, scommettere su quello che ancora non c’è, perché non si vede. La sua invenzione, un gruppo editoriale nato dal niente, con la fiducia e l’appoggio di suoi amici danarosi e magari anche interessati (forse tanto, interessati), che hanno creduto in lui, nella sua capacità manageriale, nel suo saper unire informazione, multimedialità, interattività, servizio, dibattito, confronto, cazzeggio, ha ammaliato il mondo imprenditoriale, lo ha cambiato. Eppure lui, Francesco, Franco, Ciccio, il Pupetto, questa capacità di smorfiare quel che non è ancora la aveva, gli arrivava da lontano, da quando – giovane cronista politico del Giornale di Sicilia – aveva capito non solo chi aveva il potere ma soprattutto chi aveva le notizie e, nonostante la giovanissima età, era in grado di interagire da pari a pari con i pezzi grossi della vecchia Dc, raccontando prima di un’amministrazione comunale all’epoca dura e pura, soprattutto in senso filomafioso, poi della Regione ancora presieduta dall’ultimo, vero alfiere della Prima Repubblica, quel Rino Nicolosi anche lui scomparso giovane, quando aveva forse capito (troppo tardi) di essere stato fagocitato da un sistema che non gli apparteneva. Il rischio dell’ipocrisia è in agguato, a Francesco non sarebbe piaciuto essere solo elogiato: si elogiano i morti e c’era quel tale che i morti non li elogiava ma li seppelliva. Del Pupettino ci sforziamo tutti di non pensarlo morto, dunque magari qualche strizzatina d’occhio al venditore di fumo ante litteram dell’antimafia poco dura e soprattutto pochissimo pura, così come qualche eccesso di confidenza col potente di turno, oggi inevitabilmente destinato ad essere inserito a furor di rete nel girone infernale degli impresentabili, la potremmo pure ricordare. Ma Ciccio nel fango non si lasciava trascinare, quando qualcuno ci scivolava dentro lui sapeva restarne fuori e raccontare, ancora una volta senza eccesso di partecipazione personale, quel che era successo. Dovette affrontare la prova più severa per un giornalista abituato a raccontare i guai degli altri, e non fu il solo. Eppure né lui né altri mai chiesero qualcosa: attesero, fino alla quanto mai incerta e assolutamente mancabile vittoria finale, che invece arrivò per entrambi. Sopportò, Ciccio, maldicenze e cattiverie di ogni genere, passandoci su, perché forse era solo una deprecabile invidia. Alla fine ha vinto lui, il mondo che non c’era lui lo ha inventato, lo ha costruito, gli sopravviverà e lui sarà ricordato come i grandi non della storia ma del mestiere di giornalista in Sicilia. E in fondo era solo un Pupetto.

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