I baci timidi, i sorrisi luminosi | Francesca e le sue parole d'amore - Live Sicilia

I baci timidi, i sorrisi luminosi | Francesca e le sue parole d’amore

Il ricordo di Francesca Morvillo. "Aveva la bellezza dentro di sé".

La strage di Capaci
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Questa è Francesca Morvillo, in un tempo antico, quando il male era ancora lontano dalla sua vita, quando il cammino con Giovanni Falcone era una dolcezza nascosta nel domani e di ieri risplendeva l’adolescenza in fiore che stava diventando altro. Questa è Francesca, china su qualcosa da leggere, forse già con una traccia di ciò che avrebbe scritto, perché Francesca Morvillo era, soprattutto, una donna capace di parole indimenticabili. Tutte parole d’amore.

Prese la vita di Giovanni – l’esistenza di un uomo timido, sensibile, che nascondeva la sua preziosa umanità sotto una studiata bruschezza – e seminò lì tutti gli aggettivi del suo sorriso. Ci sono foto che parlano chiaro. Il dottore Falcone con un volto imbronciato, di brume e sospetti necessari nella città infingarda che lo lasciava solo, perché non poteva comprarlo. E poi Giovanni e Francesca. Lui con l’alba dipinta in faccia. Lei protettiva, materna, innamorata. Certo, erano insieme. Ma ci sono anime per cui restare accanto è una sottrazione. E si nota.

La dottoressa Morvillo è stata ricordata stamattina al ‘Castello a mare’, dove c’è una targa. Non c’era il fratello Alfredo, da poco nominato procuratore a Trapani, un uomo che ha sempre interpretato la memoria con sobrietà. Era all’aula bunker, col Presidente Mattarella. C’era Paola Maggio, docente dell’Università di Palermo, a tessere, con gli altri, il filo del discorso. La professoressa Maggio, con la passione e l’intelligenza della ricercatrice, ha messo insieme le tracce e la discrezione di colei che fu compagna di un grande magistrato – e grande magistrato essa stessa – fino a ricavarne una minuta biografia di immagini e storie.

“Francesca  – dice – era una giurista finissima. Lo stesso Falcone si consigliava con lei. Era una persona molto attenta, che interpretava il ruolo del giudice senza dimenticare il dolore altrui”.

E spuntano le foto di un’epoca distante. Ecco il frontespizio della tesi, dove una giovane laureata scriveva: “La pena che è soltanto una sofferenza per colui che la subisce ha ceduto il posto alla pena che ha anche la funzione di far sì che l’autore del reato torni ad essere un membro utile della comunità”. Rammendi di memorie, immagini di repertorio, di vecchie telecamere del Tg. In uno spezzone, il viso di Marisa Ambrosini, prima donna magistrato in Italia, che di quella ragazza fu amica e mentore: “Era una bellissima persona, con una bellezza che le veniva da dentro”.

Ancora annotazioni. L’incontro con Giovanni a casa di amici, nel ’79, il percorso, mano nella mano, senza dimenticarsi mai, fino al matrimonio. E altri amiconi che, inteneriti, li prendevano in giro per la reciproca timidezza che costeggia i grandi amori: “Dai, datevelo un bacio”. E a suo marito, al suo amico, al suo compagno, lei, prima dell’orrore, lasciò in pegno un bigliettino, un testamento involontario: tu sei tutta la mia vita.

Questa era Francesca Morvillo, un’occasione di gioia, una penna luminosa che scriveva nell’oscurità per non andare più via. Una donna. Per il suo uomo. Quando la raccolsero sulla strada di Capaci, dicono che abbia fatto in tempo a  sussurrare in quell’inferno di sangue e rottami: “Giovanni? Dov’è Giovanni?”. Le sue ultime parole d’amore.

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