Quando arrestarono il "barone" | Lo Piccolo, dieci anni di silenzi - Live Sicilia

Quando arrestarono il “barone” | Lo Piccolo, dieci anni di silenzi

Salvatore Lo Piccolo

Così finiva la latitanza del padrino di San Lorenzo e del figlio Sandro. LE FOTO

PALERMO, 2007-2017
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5 min di lettura

PALERMO – Esattamente dieci anni fa, 5 novembre 2007. I poliziotti della sezione Catturandi della squadra mobile per mesi hanno tenuto sotto controllo una decina di abitazioni. Alla fine si concentrano su una villetta a due piani in località Giardinello.

LE FOTO

Ci si arriva percorrendo la strada provinciale che conduce a Partinico. È una villetta come tante, con la facciata senza intonaco. Alle 7:20 giunge una Toyota Yaris. Salvatore Lo Piccolo scende dal lato passeggero. Al volante c’è il figlio Sandro. Il padre è diverso dall’identikit ricostruito al computer dagli investigatori. Sull’identità del figlio, invece, non ci sono dubbi.

Una telecamera della polizia filma i movimenti dei Lo Piccolo e di altri due uomini. Il via libera al blitz è delle 9:20. Una quarantina di poliziotti, allora guidati dal capo della Catturandi Nuccio Incognito, circondano la villetta. Bussano al portone e sparano alcuni colpi di pistola in aria. I latitanti provano a resistere. Poi, si arrendono ed escono uno alla volta. Salvatore e Sandro Lo Piccolo hanno finito di scappare.

Gli agenti fanno il colpaccio. In manette finiscono pure Andrea Adamo, 45 anni, e Gaspare Pulizzi, 36 anni. Il primo era latitante da quasi un anno. Dietro il lavoro di rivenditore di moto si nascondeva un influente mafioso del mandamento di Brancaccio. Pulizzi è il reggente della famiglia di Carini.

È un vertice di mafia quello che è stato interrotto a Giardinello. Sul tavolo del soggiorno, accanto ad un calcio balilla, sono rimasti dei sigari, una bottiglia di whisky Jack Daniel’s e uan di Chivas, bicchierini di caffè, cicche di sigarette nei posacenere.

Salvatore Lo Piccolo ha cercato di disfarsi di alcuni bigliettini, scritti a penna con inchiostro blu e legati con un elastico. Voleva nasconderli nella cassetta del water. Un agente li ha scoperti, asciugati e stirati. I poliziotti trovano una valigetta di cuoio da cui il boss non si separava mai. All’interno ci sono dieci block notes. Sono i libri mastri della contabilità e la lista di chi paga il pizzo: da 500 euro al mese per il piccolo negoziante ai 20 mila del centro commerciale. Un elenco con centinaia di nomi e cognomi e centomila euro in contanti. Una cassaforte e un ufficio mobile che saranno l’ossatura di tante future inchieste.

La crepa nel muro di omertà che aveva protetto i Lo Piccoli si era aperta pochi mesi prima. Il 20 giugno del 2006 i poliziotti arrestano cinquanta persone. L’operazione Gotha azzera le famiglie della città. In carcere finisce pure Nino Rotolo, l’uomo che Bernardo Provenzano ha fatto sedere al posto di comando assieme a Salvatore Lo Piccolo in nome della pax mafiosa. Ma il corleonese Rotolo era pronto a tutto pur non di non condividere lo scettro del comando, persino ad ammazzare Totuccio “il barone” e il figlio Sandro.

Il blitz ferma la guerra e crea un vuoto di potere. C’è spazio per personaggi come Franzese, 43 anni, che brucia le tappe e diventa il braccio destro dei Lo Piccolo per conto dei quali spadroneggia a Partanna Mondello. “Dopo quegli arresti – è lo stesso Franzese a raccontarlo – i Lo Piccolo avevano l’esigenza di riorganizzarsi, di arruolare persone nella città di Palermo, e ritengo che fosse questa la ragione per cui non andarono per il sottile, sia con me che non gli altri”.

I Lo Piccolo decidono di fidarsi di lui, di dimenticare i peccati di Franzese. Errore grave del “barone”. Sarà Franzese, infatti, da lì a pochi mesi, a mettere gli inquirenti sulla pista del capomafia prima parlando con i poliziotti, da confidente, e poi con i magistrati con tutti i crismi della collaborazione. Franzese conosce i segreti dei boss di San Lorenzo, possiede la mappa di chi si piega al racket. È lui stesso a parlare di quelle macchie che avevano creato diffidenza nei suoi confronti. “Avevo capito – racconta – che Salvatore Lo Piccolo non aveva una buona considerazione di me perché aveva visto che portavo un tatuaggio e probabilmente sapeva che avevo fatto uso di droghe. Salvatore e Sandro Lo Piccolo e Andrea Adamo – aggiunge – rimasero un po’ in disparte a parlare tra loro, e alla fine Sandro mi comunicò che sarei entrato a fare parte di Cosa nostra. In quella circostanza sono stato affiliato con una vera propria cerimonia, con la santina e il giuramento. Sandro mi disse che dovevo occuparmi della famiglia di Partanna Mondello”.

Il passato non contava più. Venivano messe da parte la storia della droga, del tatuaggio e pure il fatto che il nonno di Franzese fosse stato un maresciallo dell’esercito. Franco di Partanna era ormai un pezzo grosso. Lo sarebbe rimasto ancora per poco. Il 2 agosto 2007 lo scovarono in un casa a Cruillas. Era ricercato dal 26 luglio del 2006, quando la corte d’assise di Messina lo condannò all’ergastolo per l’omicidio di Armando Craxi nell’ambito del processo denominato Mare nostrum.

Che Franzese avesse le ore contate sie era capito qualche tempo prima dell’arresto, quando per un soffio non lo acciuffarono i carabinieri che per primi avevano inquadrato il suo spessore criminale. Lo cercarono senza fortuna in un cantiere edile. Franzese risultava nell’organico di una ditta. Faceva il responsabile per la sicurezza dei lavoratori ed era il loro rappresentante sindacale. Nel covo di via Salerno, dove gli investigatori arrivarono seguendo Antonino Nuccio, c’erano una quindicina di Rolex, ma soprattutto la corrispondenza con i Lo Piccolo. I carabinieri avevano ragione. I poliziotti della Squadra mobile restrinsero il raggio d’azione e arrivarono a Giardinello.

Da dieci anni padre e figli sono detenuti al carcere duro. Nessun cedimento. Nessuna collaborazione. Ci sono segreti da mantenere tali.

 

 

 


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