PALERMO – Accostare il nome di Totò Cuffaro a quello di Bernardo Provenzano è “ingiustificato” perché l’ex governatore siciliano “non poteva essere considerato vicino” al padrino corleonese.
Con questa motivazione la Corte d’appello di Caltanissetta ha condannato il giornale “La Repubblica” a risarcire Cuffaro per il titolo “Il nuovo volto della mafia, non spara più controlla tutto” e per la scelta grafica di impaginare il pezzo mettendo accanto le foto di Cuffaro e Provenzano con la didascalia “Il boss e il governatore”.
L’articolo fu pubblicato nel 2003, quando l’ex presidente della Regione era indagato per concorso in associazione mafiosa e non era stato ancora condannato per rivelazione di segreti di indagini e favoreggiamento aggravato la mafia. I giudici di appello spiegano che l’idea che “ci fosse un collegamento criminoso fra i due soggetti rappresentati in foto” non emergeva da alcun atto giudiziario in quel momento, né sarebbe emerso nelle indagini successive che portarono all’arresto del politico e alla condanna definitiva per favoreggiamento aggravato.
“Sotto accusa” non è finito l’articolo, nel quale, sottolineano i giudici, era contenuta un’analisi corretta dei fatti, ma a creare il pregiudizio per la reputazione di Cuffaro sono stati il titolo e l’accostamento fotografico. Il quotidiano, condannato in primo grado, era stato assolto in appello. Un’assoluzione annullata con rinvio dalla Cassazione. Da qui il nuovo processo che ha confermato il giudizio di primo grado. Ad avere la meglio sono stati i difensori di Cuffaro, gli avvocati Salvatore Ferrara e Umberto Ilardo.