È anche una storia di inimicizia e di una lunghissima tenzone di potere quella che emerge dall’inchiesta palermitana su un presunto giro di mazzette attorno agli appalti della sanità. Protagonisti di questa estenuante guerra di logoramento le due figure più note coinvolte nell’indagine, Fabio Damiani, attuale vertice dell’Asp di Trapani, e Antonio Candela, commissario regionale per l’emergenza Covid-19. Per il primo è scattata la custodia cautelare in carcere, per il secondo i domiciliari. Entrambi sono accusati di corruzione. E secondo la ricostruzione degli inquirenti, i due personaggi di primissimo piano nella scena della sanità siciliana degli ultimi anni, avrebbero duellato per lungo tempo, con sullo sfondo gli interessi di aziende private che avrebbero puntato a condizionare illecitamente le gare d’appalto.
Secondo gli investigatori e l’impianto indiziario che ha convinto il gip, figura centrale e perno di tutta l’indagine è l’avvocato Fabio Damiani che avrebbe realizzato un “patto di ferro” assolutamente stabile e duraturo nel tempo con Salvatore Manganaro, che si autodefiniva “faccendiere” in alcuni passaggi delle conversazioni in atti. D’intesa con lui, Damiani avrebbe pilotato , in forza della indiscussa esperienza e capacità professionale maturate sul campo, gare d’appalto dal valore di centinaia di milioni di euro. Quelle “indiscussa esperienza e capacità professionale”, Damiani le aveva maturate negli anni, essendo stato direttore UOC al Provveditorato dell’ASP 6 di Palermo e Direttore del Dipartimento Risorse Economiche, nonché dirigente responsabile della Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana, potentissimo epicentro di spesa, e presidente di commissioni di gara.
Nel suo cammino, Damiani incrociò Candela. I due finirono nelle cronache sette anni fa come pubblici ufficiali encomiabili per avere fatto emergere una presunta turbativa in merito a una gara sui pannoloni. Ma in questi anni avrebbero avuto un rapporto conflittuale. Per i magistrati, la società Tecnologie Sanitarie, al centro di uno degli episodi corruttivi ipotizzati, “giocava la sua partita su due ‘tavoli’, quello del Candela, in particolare ansia ed affanno in quanto bramoso di ottenere, alla scadenza del suo incarico, nuovi mandati (cosa poi non avvenuta), e quello del Damiani, che nutriva verso il primo un odio ed una diffidenza, assolutamente reciproche, tali da portarlo a mettersi su posizioni del tutto antagoniste”.
Un incrocio di lame che aveva sullo sfondo non solo le presunte vicende corruttive, ma anche le spasmodiche attività di ricerca di agganci politici per mantenere incarichi o ottenerne di nuovi ai vari giri di spoils system. In conversazioni intercettate Damiani raccontò di essere stato destinatario di minacce da parte di Candela, e affermò di essere in possesso di alcune registrazioni che avrebbero compromesso il rivale. Lo scontro più aspro si materializzò sulla possibilità che l’Asp di Palermo, come richiesto dalla Tecnologie Sanitarie, aderisse alla procedura CUC. Damiani, parlando con un dipendente dell’Asp, disse che Candela in pratica, avrebbe voluto che lo stesso Damiani facesse una “truffa” e aggiungeva che piuttosto si sarebbe dimesso, asserendo: “Loro vogliono che io scrivo una lettera, una cosa folle diciamo tecnicamente e giuridicamente!”. Una vicenda questa su cui a lungo si sofferma l’indagine. Damiani, parlando con la moglie, si definì in quella circostanza “un topo in gabbia”, poiché gli era chiaro che se non avesse predisposto la “lettera” richiestagli da Candela, quest’ultimo non avrebbe acconsentito alla riconferma del suo incarico di provveditore all’Asp. In un’altra conversazione Damiani dice che il rivale gli stava “togliendo il provveditorato perché io non gli ho detto sì alle sue porcate”.
Alla fine, si andò verso quella soluzione dell’adesione dell’Asp alla procedura Cuc. Ma nel frattempo i rapporti di forza tra i due rivali stavano mutando: Candela a fine 2018 rimase fuori dalle nuove nomine della Sanità, mentre Damiani ottenne l’incarico alla Asp di Trapani.