ROMA – Si riaccende il dibattito sulla legalizzazione della cannabis in occasione della presentazione del Libro Bianco sulle Droghe che ha messo in evidenza come il ‘proibizionismo’ in Italia costa 20 miliardi di euro in mancate entrate per lo Stato. Ed è sull’onda di questi dati che oggi è andata in scena in Piazza Montecitorio la manifestazione ‘Io coltivo’, nel corso della quale la leader di +Europa Emma Bonino è tornata a indicare la legalizzazione come un colpo “finanziario a chi specula sul proibizionismo: legalizzare vuol dire mandare la mafia in bancarotta”.
Al sit in erano presenti anche parlamentari M5S. E Alessandro Di Battista in un post ha invitato a fare la battaglia per la legalizzazione in modo “laico e razionale” evitando di farsi “i selfie con una canna in mano” ma sottolineando comunque che “la regolamentazione del mercato della cannabis produrrebbe un aumento del Pil tra 1,20% e il 2,34%”. Pro cannabis anche il deputato del M5s Aldo Penna che si riprende in video mentre coltiva semi di cannabis: “Non ha senso che il Testo unico delle droghe consideri illegale coltivare canapa in casa mentre una sentenza della Cassazione preveda che l’uso personale di hashish non sia sanzionabile”. Secondo i dati del Libro Bianco sulle Droghe il proibizionismo rallenta la giustizia e sovraffolla le carceri. Durante il lockdown i consumatori di droghe hanno dimostrato “capacità di autoregolazione” e il mercato illegale “flessibilità e resilienza” e soprattutto non si è fermato, mentre i servizi pubblici hanno saputo adattarsi solo a macchia di leopardo alla nuova situazione. I promotori del Libri Bianco (La Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, Cgil, Cnca, Associazione Luca Coscioni, Arci, Lila e Legacoopsociali con l’adesione di A Buon Diritto, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itardd e Itanpud) chiedono che il Parlamento definisca nuove regole per consentire un consumo consapevole della cannabis legalizzandone produzione, consumo e commercio e cancellando anche le pesanti sanzioni per la detenzione delle altre sostanze proibite. Sugli oltre 60.000 detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2019 ben 14.475 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo unico (sostanzialmente per detenzione a fini di spaccio, 23,82%). Altri 5.709 in associazione con l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, 9,39%), solo 963 esclusivamente per l’art. 74 (1,58%). Questi ultimi rimangono stabili. Nel complesso vi è una impercettibile diminuzione dello 0,67%. Resta ai livelli più alti degli ultimi 15 anni la presenza di detenuti definiti “tossicodipendenti”: sono 16.934, il 27,87% del totale. Questa presenza, che resta maggiore anche rispetto al picco post applicazione della Fini-Giovanardi (27,57% nel 2007), è alimentata dal continuo ingresso in carcere di persone “tossicodipendenti”. Nel 2019 questi sono stati il 36,45% degli ingressi nel circuito penitenziario, in aumento costante e preoccupante da 4 anni. Una legge che, secondo gli autori del Libro Bianco, ha conseguenze dirette sulla Giustizia con oltre 200 mila fascicoli nei tribunali. Le persone coinvolte in procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 e 74 sono rispettivamente 175.788 e 42.067. È un dato che, pur in leggera diminuzione, si allinea “agli anni bui della Fini-Giovanardi”. Mentre quasi 1 procedimento su 2 per droghe termina con una condanna, questo rapporto diventa 1 su 10 per i reati contro la persona o il patrimonio.(ANSA).