L’omicidio dell’infiltrato Ilardo C’è attesa per la Cassazione

L’omicidio dell’infiltrato Ilardo|C’è attesa per la Cassazione

L’ultimo step giudiziario di un processo che parla di mafia, sangue e pezzi deviati dello Stato.
UCCISO NEL 1996
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CATANIA – Un omicidio dimenticato per quasi venti anni. Il nome di Luigi Ilardo si torna a pronunciare durante due processi a Palermo, quello sulla mancata cattura nel 1995 di Bernardo Provenzano e quello sulla cosidetta Trattativa Stato-Mafia. Una pagina di sangue che si intreccia con alcuni dei momenti storici più inquietanti della prima Repubblica, dove Cosa nostra e pezzi di Istituzioni avrebbero stretto accordi e alleanze. 

L’omicidio a un passo dalla collaborazione

Gino Ilardo è assassinato il 10 maggio 1996. Non sono ancora le 9 di sera. Arriva con la sua Mercedes sotto casa, in via Quintino Sella a Catania, e i killer fanno fuoco.

Poco dopo si scopre che ad essere ucciso non è un semplice esponente della famiglia mafiosa di Caltanissetta ma è la fonte ‘Oriente’ del colonnello Michele Riccio. L’infiltrato, prima della Dia e poi del Ros, che in pochi mesi ha fatto arrestare boss e latitanti di primo piano.

Non solo, Ilardo è a un passo dal diventare un collaboratore di giustizia dello Stato. Qualcuno però agisce prima. 

La relazione sparita

Le prime indagini di quel delitto finiscono tutte in archiviazioni. Due decenni dopo c’è la svolta: Eugenio Sturiale racconta ai magistrati di aver assistito ad alcune fasi di quell’omicidio. Fa nomi e cognomi. Anche se il collaboratore di giustizia (con un passato nei clan Santapaola, Cappello e Laudani) spiega di aver già rilasciato quei segreti nel 2001 a un ufficiale della Dia. Quella relazione, firmata da Mario Ravidà, però rimane impantanata.

La nuova inchiesta

Raccolte le dichiarazioni del pentito, la Dda etnea e la Squadra Mobile di Catania riaprono l’inchiesta pescando dagli archivi i sopralluoghi, le dichiarazioni dei testimoni, i formidabili risultati investigativi arrivati dalle rivelazioni di Ilardo, l’informativa Oriente redatta da Riccio. E poi sono riascoltati una miriade di pentiti catanesi e palermitani che ripercorrono i mesi prima dell’omicidio.

Inchiodati killer e mandanti

Tra depistaggi, finte notizie, spifferi alle istituzioni. A completare il puzzle ci pensa Santo La Causa, ex reggente della famiglia Santapaola-Ercolano, che partecipa alla fasi organizzative dell’omicidio di Gino Ilardo. L’inchiesta porta alla sbarra il gotha di Cosa nostra: Piddu Madonia, capo della famiglia mafiosa nissena, Vincenzo Santapaola, figlio di Turi, Maurizio Zuccaro, boss di vertice della mafia catanese, Benedetto Cocimano, altro uomo di spicco della criminalità organizzata.

Ad impartire l’ordine sarebbe stato Madonia, che avrebbe chiesto ‘il supporto’ dei Santapaola. Zuccaro avrebbe avuto il ruolo di organizzare l’agguato. E ai sopralluoghi avrebbe partecipato anche La Causa, anche Sturiale racconta di averlo visto pochi giorni prima dell’omicidio. Ad un certo punto però l’ex reggente dei Santapaola sarebbe stato estromesso. E il gruppo di fuoco di Zuccaro, di cui farebbe parte Benedetto Cocimano, agisce e uccide.

I mandanti occulti

Cosa ha prodotto questa ‘strana accelerazione’? Un pentito parla di ‘uno spiffero’ proveniente dalla Istituzioni. Forse una fuga di notizie. Un interrogativo senza risposta rimasto impantanato in un fascicolo sui mandanti occulti ancora senza epilogo.

L’ultimo step processuale

I quattro boss sono stati condannati all’ergastolo. La sentenza è confermata dalla Corte d’Assise d’Appello. Il primo ottobre è fissata l’udienza davanti alla Suprema Corte. C’è grande attesa, soprattuto da parte dei familiari, per questa decisione. C’è, soprattutto, voglia di giustizia. 

Qualsiasi sarà il responso della Cassazione, resterà comunque una verità processuale a metà. La parte oscura dell’omicidio di Gino Ilardo rimane ancora chiusa in qualche cassetto. O è sepolta insieme ad altri misteri italiani, dove Mafia e Stato stanno, in modo inquietante, vicini. 

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