Università Bandita, ecco i punti focali del ricorso dei pm - Live Sicilia

Università Bandita, ecco i punti focali del ricorso dei pm

La Procura parla di "sentenza" del gup "viziata e per certi versi illogica".
REATO ASSOCIATIVO
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CATANIA – È diviso in quattro punti il ricorso per Cassazione della Procura di Catania contro la sentenza di non luogo a procedere del gup per il reato di associazione a delinquere ai 9 imputati del processo sui concorsi all’Università di Catania. Tra cui i due ex rettori Francesco Basile e Giacomo Pignataro.

Prima di entrare nel cuore dell’impugnazione e quindi della richiesta di annullamento della decisione della gup, i pm fanno un’argomentata premessa espositiva ai giudici della Suprema Corte. 

“Le indagini ipotizzavano l’esistenza – scrivono i magistrati etnei – di un’associazione a delinquere finalizzata a commettere un numero indeterminato di delitti di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, di abuso d’ufficio e di falso ideologico e materiale volti ad alterare il naturale esito dei bandi di concorso per il conferimento degli assegni, delle borse e dei dottorati di ricerca, per l’assunzione del personale tecnico-amministrativo, per la composizione degli organi statutari dell’ Ateneo ed infine per l’assunzione e  la progressione in carriera dei docenti universitari”. La Procura evidenzia inoltre come il “sistema delinquenziale” non sarebbe stato “ristretto all’Università etnea” ma si sarebbe esteso “anche ad altri Atenei nazionali”. Alla Cassazione, i pm spiegano i pilastri che compongono l’indagine “durata circa un anno” della Digos. Soprattutto intercettazioni. 

Per la Procura “la decisione” del gup “è frutto di una un’errata applicazione della legge processuale, avendo il Giudice oltrepassato i limiti entro i quali è consentita la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere”. Ma oltre questo i pm evidenziano come l’esistenza “dell’associazione a delinquere ipotizzata” era stata “confermata” sia dal gip che dal Tribunale del Riesame”. “Il Giudice – secondo gli inquirenti catanese – avrebbe travalicato i limiti cognitivi posti dal codice di procedura penale” ed avrebbe dunque “impedito la valutazione da parte del Giudice del Dibattimento di elementi probatori certamente idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Su questo punto, dunque, i pm chiedono l’annullamento della sentenza “perché viziata” da una violazione dei “limiti cognitivi che spettano al Giudice dell’udienza Preliminare per valutare la richiesta di rinvio a giudizio”

Ma non è finita. Perché nel punto 3 del ricorso i pm scrivono che “la sentenza di non luogo a procedere è stata emessa perché il fatto non sussiste”, ma la gup avrebbe “operato una ricostruzione parziale e, quindi, palesemente incompleta delle fonti di prova e dello sviluppo del procedimento, accompagnata, peraltro, da alcune asserzioni documentalmente non fondate”. “La sentenza” inoltre avrebbe “omesso del tutto di confrontarsi con le dichiarazioni 

raccolte in atti dopo l’esecuzione delle misure”. Per i pm “le dichiarazioni assunte dalle diverse persone offese appaiono, invece, di estrema rilevanza per delineare l’esistenza dell’ipotizzata associazione”.  Le dichiarazioni per la Procura confermerebbero “l’esistenza di uno stretto legame tra il Rettore ed i capi dipartimento coinvolti nella creazione dell’associazione che consente la perpetrazione dei diversi reati fine”. E l’ex rettore Francesco Basile sarebbe stato il “perno attorno a cui ruotano gli altri imputati”. 

I pm parlando di una “spartizione clientelare di ogni singola posizione lavorativa bandita all’interno dell’ Ateneo”. E per i pm il “sistema criminale si colloca perfettamente all’interno dei confini delineati dalla fattispecie delittuosa” dell’associazione a delinquere. La Procura parla di sistema. “La complessiva valutazione degli elementi probatori finora acquisiti consente di ritenere la sussistenza di un sistema all’interno dell’Università di 

Catania, nell’ ambito del quale vengono stabiliti in anticipo i vincitori di ogni singolo bando interno ed influenzate in tal senso le procedure relative”. A fondamento di questo assunto i pm citano decine e decine di conversazioni captate dalla Digos. 

Dialoghi che “confermano – secondo l’ipotesi della Procura –  l’esistenza di un vero e proprio codice di comportamento sommerso operante in ambito universitario secondo il quale gli esiti dei concorsi devono essere predeterminati dai docenti interessati”. I pm ritengono che questi elementi siano stati solo “sommariamente analizzati dalla  sentenza”. 

Un altro nodo del ricorso parla di “illogicità della motivazione sui cosiddetti “due gruppi di potere”. I pm sono molto critici: “Parte della sentenza è poi riferita alla mancata contestazione di analoga fattispecie associativa nei confronti di quello che lo tesso giudicante  individua come “gruppo di potere avverso”. Per la Procura la gup “a supporto della sentenza di non luogo a procedere” avrebbe messo la volontà del pm “di non procedere analogamente nei  confronti dei soggetti che si individua come contrapposti agli imputati”. Per i sostituti procuratori un parere “illogico”, in quanto “le indagini sono iniziate nel 2016 ed hanno, pertanto, documentato lo svolgimento di gravi delitti commessi dopo il 2016 quando “il gruppo di potere avverso” non aveva più capacità decisionali nell’ Ateneo. Su questa argomentazione la procura aggiunge: “Parimenti non si comprende come la ritenuta errata valutazione del pm sul!’ appartenenza dei fratelli Purrello all’associazione possa  tramutarsi in un’argomentazione per escIudere l’esistenza stessa dell’ associazione”. 

Gli ultimi due punti si sintetizzano nella richiesta da parte della Procura di annullamento alla Suprema Corte della sentenza del gup perché “manca” nella motivazione “la valutazione di alcuni elementi probatori essenziali” e inoltre “la stessa è, per altri versi, illogica”.

Ora servirà attendere la decisione della Cassazione. E quali riflessi potrebbe avere nei due filoni processuali frutto dell’inchiesta Università Bandita. 


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