Prendere il Covid, se sei un medico, uno che lavora dentro un camice, può essere diverso. In peggio. Resti come diviso in due. Provi lo sconforto e lo scoramento che appartiene a tutti, quando si comincia il viaggio nella Grande Paura che vivi con maggiore consapevolezza. Ma, assurdamente, però comprensibilmente, ti senti anche un disertore, senza avere colpa alcuna. Perché sei malato e non puoi dare una mano nella battaglia di ogni giorno.
La dottoressa Marika Tutino è un neurochirurgo; lavora nel reparto di Villa Sofia, a Palermo: un segno dell’eccellenza della nostra Sanità che ha reso superflui i viaggi della speranza oltre lo Stretto. Lei ha preso il Covid due volte: da non vaccinata e da vaccinata. Ora racconta: “Sto meglio, sono negativa, ma ho qualche strascico. Ancora, quando indosso la mascherina, non respiro benissimo. La prima volta? A inizio novembre del 2020, quando il vaccino non c’era. Mi sono contagiata in ospedale come tanti. La prima settimana ho avuto febbre, polmonite e astenia, mi muovevo a fatica. Poi è cominciata la confusione mentale che è tipica del Long Covid. Mi sono negativizzata, quasi due mesi dopo si è manifestato un terribile dolore al petto. Sono andata al pronto soccorso e l’angio Tac ha individuato un trombo. Mi hanno ricoverato in cardiologia. A poco a poco ho recuperato e ad aprile sono tornata in sala operatoria. Non vedevo l’ora”.
Sono così i medici e somigliano, nell’alchimia emotiva, ai piloti di Formula Uno. Se la macchina ha un incidente, mordono il freno per salire su un’altra vettura. Tutto procede discretamente. La dottoressa, secondo protocollo, fa una dose di vaccino dopo la guarigione.
Qualche giorno prima del Natale di quest’anno, ecco il colpo: “Ho avvertito i sintomi, il tampone rapido e molecolare ha dato l’esito: positiva. Anche le mie figlie lo erano. Una mazzata, come rientrare nel tunnel di una angoscia. La febbre è risalita subito fino a trentanove e sono tornata in ospedale il 23 dicembre. I colleghi si sono presi cura di me, come di tutti, con grande attenzione. La dottoressa Tiziana Maniscalchi, responsabile del pronto soccorso Covid del ‘Cervello’, è una persona che rappresenta l’ideale della medicina, perché unisce competenza e sensibilità. Io ero distrutta, ma sapevo di trovarmi in buone mani”.
“Con gli anticorpi monoclonali, somministrati secondo la procedura standard, sono migliorata subito. Ho potuto passare il Natale con le mie ragazze. Non capisco chi parla di violazione della libertà riguardo a Green pass e vaccini. La pandemia è una esperienza straordinariamente terribile. Anzi, dovremmo essere contenti e grati che ci sia assistenza per tutti. Quando saremo tutti vaccinati potremo convivere con il virus, perché sarà meno virulento. Ma dovremo proteggerci”. E’ la speranza di ognuno e serve buona volontà. Come sta dottoressa Marika? “Non vedo l’ora di rientrare”. Un medico, come un pilota, va sempre di corsa.