Un sabato qualunque, una giornata da trascorrere in famiglia a pochi giorni dalle festività e dall’evento più importante: quello della nascita di un bambino. A Ravanusa, piccolo centro dell’agrigentino, la famiglia si era riunita per trascorrere qualche ora insieme. Ed erano tutti seduti sul divano, quando è tragicamente esploso tutto. Li hanno individuati alle 6 del mattino, coperti di calcinacci. Selene, suo marito Giuseppe, suo suocero Angelo, sua suocera Enza Zagarrio. E con loro c’era anche il piccolo Samuele, così si sarebbe chiamato il bimbo che l’infermiera avrebbe dovuto partorire la settimana prossima. A 48 ore dalla strage, il groviglio di macerie che era via Trilussa restituisce quella che è diventata la famiglia simbolo di questa tragedia anche se non è ancora il momento di scrivere la parola fine: mancano ancora Calogero e Giuseppe Carmina, padre e figlio, gli ultimi due dispersi che per tutti sono già l’ottava e la nona vittima dell’esplosione.
L’incertezza sull’identità, poi la conferma: Carmela Scibetta tra le vittime
Sull’identità delle quattro persone ritrovate per tutta la mattina c’è stata incertezza, fino a quando il sindaco Carmelo D’Angelo non ha chiarito la situazione. Enza Zagarrio, infatti, era già tra le tre vittime ritrovate ieri. Ma era un errore: non era lei, era Carmela Scibetta, la dirigente del comune di Ravanusa e moglie del professore Pietro Carmina. Uno scambio di nato dal fatto che non era stata fatta un’identificazione ufficiale ma solo attraverso una foto. Oggi il figlio della coppia ha visto il corpo recuperato e ha riconosciuto la madre. Selene, Giuseppe, Angelo ed Enza li hanno trovati sotto una montagna di pietre, cemento e tondini di ferro dopo aver bucato il solaio del quarto piano ed essere ‘entrati’ tra le macerie di quello che era il terzo. “Abbiamo lavorato tutta la notte per spostare le macerie con i mezzi – racconta Fabio Gulino, uno dei Vigili del Fuoco della squadra Usar della Sicilia – Attorno alle 6.30 abbiamo intravisto il primo corpo e subito dopo c’erano tutti gli altri, erano vicini”. Il perché ci abbiamo messo così tanto a trovarli è dovuto all’ultima telefonata di Selene al papà. “Siamo usciti, stiamo arrivando” ha detto la ragazza al padre. E l’uomo ha raccontato l’episodio ai soccorritori, dicendo loro che la figlia era già in strada. Così si è scavato prima in corrispondenza di quella che era via Trilussa e solo dopo si è tornati sul palazzo. “Sarebbero bastati cinque minuti – dice scuotendo la testa il comandante dei vigili del fuoco di Agrigento, Giuseppe Merendino – e si sarebbe salvata”.
“Abbiamo sperato fino all’ultimo”
“Abbiamo sperato fino all’ultimo momento, non perché gli altri non fossero importanti ma questa ragazza è diventata un po’ la figlia di tutti e purtroppo la cosa è andata male”, ammette il prefetto di Agrigento Maria Rita Cocciufa. Quando l’hanno tirata fuori, il silenzio della mattina è stato rotto dal pianto della mamma. Nascosta dietro un camion dei vigili del fuoco, prima che la portassero lontano da quell’orrore, le urla di disperazione della donna hanno messo a dura prova anche la resistenza dei vigili del fuoco, uomini che nella vita ne hanno viste di tragedie e disastri. “Non voglio più vivere, non voglio, lasciate morire anche me”. Ora mancano Calogero e Giuseppe, padre e figlio. Il primo abitava in via Trilussa 62; l’altro, 33 anni, no ed era andato per fare un favore al padre. Per tutto il giorno li hanno cercati in quello che era il loro appartamento: hanno trovato i telefoni, i documenti, ma di loro non c’è traccia. Forse non erano ancora rientrati a casa: Giuseppe doveva solo posteggiare l’auto del padre in garage. Poi sarebbe dovuto salire, consegnare le chiavi e andare via. Potrebbe quindi essere sceso il padre ma se così è andata bisognerà aspettare che rimuovano tutte le macerie del palazzo prima di trovarli. Ad aspettarli, nascoste tra i giornalisti, i soccorritori e i curiosi, ci sono due donne: una è Eliana, la moglie di Giuseppe, l’altra è suor Agata, la sorella, con il saio bianco, i sandali e un rosario in mano. Entrambe non staccano il viso da quel cumulo di macerie, gli occhi dalle pale meccaniche che spostano pezzi di cemento. Ogni tanto le ricerche si bloccano, per consentire ai cani di fiutare le macerie per trovare il punto esatto dove scavare.
“Devono ridarmi il mio Giuseppe”
“Perché si fermano, perché non scavano, devono ridarmi il mio Giuseppe”, dice Eliana con un filo di voce e le lacrime che scendono. Agata la abbraccia e insieme si fanno forza. “Li troveranno, vedrai”. Certo che li troveranno. I pompieri non smetteranno di lavorare fin quando non glieli restituiranno. E’ un punto d’onore al quale mai abdicherebbero. Solo allora si potranno tirare le somme, solo allora si comincerà davvero a capire qualcosa del perché è esploso l’intero isolato, solo allora si potrà iniziare a cercare le responsabilità. E solo allora si potrà chiudere il conto delle vittime: nove. O dieci, perché Samuele era pronto a nascere.