PALERMO – La prima ad accorgersi dei furti è stata una professionista. Le avevano rubato dall’armadio di casa una dozzina di borse. Chanel, Hermes, Prada, Gucci, Miu Miu: modelli parecchio ricercati nei negozi palermitani del vintage di lusso. La donna ha smascherato la ladra e recuperato il bottino.
Non è andata bene, al momento, ad un’altra professionista. Non ha ancora trovato le borse e i gioielli spariti dalla sua abitazione. Ad ogni furto corrisponde un affare: le borse sono state rivendute ad ignari clienti. Ignari lo erano anche i titolari dei negozi che hanno messo in vendita gli articoli?
Le indagini finora svolte dalla polizia, coordinate dalla Procura della Repubblica, hanno fatto emergere il caos nei cinque negozi individuati, tutti nelle zone dello shopping cittadino.
Questi i fatti. A casa della professionista, di tanto in tanto, lavora per le faccende domestiche una donna originaria dello Sri Lanka. Una volta scoperto che dagli armadi mancano le borse la vittima dei furti veste i panni dell’investigatrice e convoca la collaboratrice, che confessa.
Le indica i nomi dei negozi dove si recano insieme. Le borse sono state rivendute. Ci guadagna bene chi le ruba, incassando circa 700 euro a borsa, e chi le rivende a cifre che hanno superano i 1.600 euro ad articolo.
Il modus operandi è ripetitivo: l’autrice dei furti si presenta in negozio e mostra la foto della borsa. Se il commerciante è interessato lei torna a casa e la ruba. Alcuni articoli sono stati riconosciuti attraverso le foto postate su Facebook.
La professionista recupera la merce, quasi tutta. Solo una borsa è stata venduta ad una turista californiana. Non è stato facile ricostruire i passaggi. Non tutti i negozi tenevano l’obbligatorio registro vidimato dal Suap ai sensi del testo unico di pubblica sicurezza in cui vanno annotati giornalmente i nomi di chi ha venduto la borsa usata e di chi l’ha ricomprata.
I poliziotti, incamerata la denuncia, si sono subito attivati. Indagando hanno scoperto altri casi. Non solo borse, ma anche gioielli rubati e “impegnati”. Fedi nuziali con tanto di incisione dei nomi dei coniugi e della data del matrimonio, medagliette con il nominativo di un bimbo battezzato, colane d’oro e ciondoli con pietre preziose.
È fin troppo facile “impegnare” un oggetto di cui non si può dimostrare la proprietà. Ora i filoni di indagine sono due. Il fascicolo si è arricchito di altre denunce. E poi ci sono i trascorsi della donna, già condannata in passato per furto, ma a piede libero. Si indaga anche sulle responsabilità dei negozianti.
I clienti che vanno in giro con borse di lusso sono in buona fede. Hanno fatto un affare: una singola borsa usata può anche valere tremila euro. Il mercato dipende da tante variabili. Un vecchio modello fuori produzione vale molto di più di quanto è stato acquistato. E i negozianti? Hanno solo commesso illeciti amministrativi oppure ci sono dei risvolti penali, ad esempio la ricettazione? L’inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore Daniele Sansone.
Intanto è bastato il passaparola fra amiche a fare emergere il caso che riguarda la seconda professionista. Potrebbe non essere l’ultimo. Il fenomeno sembra avere proporzioni più ampie. I poliziotti sono al lavoro.