“Il bilancio della Regione ha un buco enorme e, senza un risanamento, con riforme anche impopolari, si rischia di mandare in default la Sicilia”. Gianpiero D’Alia evoca il fantasma della bancarotta senza girarci troppo attorno. La prospettiva di un fallimento “alla greca” per la Sicilia, a suo dire, esiste. E il leader dell’Udc in Sicilia non è l’unico a pensarlo. Anche dalle parti di Confindustria sono preoccupati, anzi, terrorizzati, per le sorti del bilancio regionale.
È un clima abbastanza surreale quello in cui la Regione si avvicina alla scadenza dell’esercizio provvisorio, il 31 marzo. Per quella data, a meno che l’Ars non voti un’ulteriore proroga fino al 30 aprile, bisognerà approvare un bilancio per il quale, per ammissione dello stesso governo, non ci sono i soldi. Roba da non dormirci la notte. Eppure nel dibattito politico, dell’enorme pertugio che fa del Bilancio 2012 un rompicapo di difficile soluzione, praticamente non si parla. Lo spettro greco di una bancarotta della Regione, ipotesi di scuola per alcuni e rischio concreto per altri, non sembra preoccupare gran parte della classe politica, in altre faccende affaccendata. Eppure è stato lo stesso assessore regionale al Bilancio Gaetano Armao ad annunciare che mancano qualcosa come 2,3 miliardi per trovare una quadra nel documento contabile. “I numeri sono complicati”, deve ammettere Armao. Che però ostenta ottimismo e calma olimpica. Malgrado quei due miliardi e passa a oggi non si sappia bene dove pescarli se non andranno in porto le lunghe e complicate trattative in corso tra Regione e Stato. Insomma, o Roma mette mano al portafogli o a Palermo sarà oggettivamente impossibile votare un bilancio verosimile. “La situazione è drammatica”, è il disperato grido d’allarme, l’ennesimo, del presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, che si appresta a scendere in piazza insieme ai sindacati e chiede al governo di agire sulla spesa improduttiva, prima che sia troppo tardi.
La dieta di Silvio e SuperMario
La Regione deve in effetti fronteggiare una serie di tagli, varati a raffica nel 2011 dalle manovre dei governi nazionali (in particolare dalla manovra estiva di Berlusconi), che hanno imposto alla Sicilia tagli alla spesa per un miliardo e 300 milioni. Una tagliola mica male, soprattutto per chi, come la Sicilia, ha cominciato a tagliare già l’anno scorso. Ma non solo. Con la manovra Monti si aggiungono al quadro ulteriori minori entrate per 400 milioni di euro (ma questa stima adesso sembra sovradimensionata agli uffici del Bilancio: la somma sarebbe più bassa), che la Regione incassava come Irpef sugli immobili e che invece adesso la nuova Imu destina a Stato e comuni. Una bella botta rispetto alle previsioni del Dpef presentato all’Ars l’anno scorso. Su questo punto, la giunta regionale sta cercando di negoziare un trattamento più favorevole dal governo nazionale. “Sia chiaro, non andiamo col cappello in mano a chiedere soldi per i precari”, puntualizza Armao con un riferimento fin troppo evidente ai “viaggi della speranza” a Roma del Comune di Palermo che hanno permesso nell’ultimo anno di tenere in piedi il carrozzone Gesip.
Negoziati romani
Altro punto su cui la Sicilia ha un tavolo tecnico aperto con Roma è quello relativo al nodo Sanità. Il punto controverso riguarda la quota di compartecipazione della spesa sanitaria, che i documenti contabili regionali prevedono al 42,5 per cento invece che al 49,11. Un punto tutt’altro che pacifico oggetto di confronto nella Capitale, che vale circa 650 milioni. “I dati Censis parlano chiaro: abbiamo risparmiato più di tutti sulla spesa sanitaria – argomenta Armao -. Lo Stato deve tenerne conto. E fin qui abbiamo trovato grande disponibilità al confronto”.
I conti che non tornano
Ma nel Bilancio ci sarebbero altre magagne. Confindustria Sicilia, per esempio, parla di “sottovalutazione dell’entità delle entrate fiscali che a causa della crisi economica sono in netto calo”. Traduzione: c’è la crisi, l’Italia andrà in recessione, e se calerà il Pil entreranno meno soldi dalle imposte. Una critica avanzata anche dall’Udc che bolla come “ottimistiche” le previsioni del governo sulle entrate. E anche la Corte dei Conti, nell’audizione all’Ars del novembre scorso, ha chiesto di porre attenzione agli effetti del rallentamento dell’economia sulle entrate fiscali regionali. Altra posta che non convince è quella dei 500 milioni di euro che si conta di incassare dalla valorizzazione dei beni immobiliari della Regione, somme tutt’altro che certe visto l’andazzo degli ultimi anni. E poi c’è la Formazione professionale, per la quale l’intero capitolo viene addebitato sui fondi europei, “con tutti i rischi connessi al probabile mancato riconoscimento della spesa da parte dell’Unione europea”, come si legge nel documento del gruppo parlamentare dell’Udc che ha fatto le pulci al Bilancio. Per far quadrare i conti nel bilancio si prevede un mutuo da 487 milioni (nella prima bozza erano 402), un ammontare che potrebbe lievitare alla luce di tutte le incertezze esposte. Giova ricordare che la Regione è già indebitata con precedenti prestiti per circa 6 miliardi.
L’occasione persa dei fondi europei
Certo, una leva per la crescita che avrebbe potuto portare effetti benefici anche sulle entrate fiscali doveva essere rappresentata dai fondi europei. Sulla cui gestione la Sicilia ha dovuto incassare nei giorni scorsi la reprimenda di Bruxelles (che ha bloccato somme per 220 milioni a fronte di irregolarità) e Roma. Tanto che mercoledì 8 febbraio Raffaele Lombardo dichiarava: “Voglio capire dove si inceppa la macchina dei fondi Ue”. Insomma, a quasi quattro anni dalla sua elezione, il presidente della Regione vuole capire. Buongiorno. “Sulla spesa dei fondi europei i dati non cambiano poi tanto guardando alle altre regioni, e non solo italiane – dice Armao -. C’è anche un problema generale: i fondi europei devono cofinanziare la spesa con fondi regionali. Ma se d’altra parte il patto di stabilità impone di tagliare le spese, questo frena anche l’impiego dei fondi comunitari”. Di certo c’è che anche se la spesa si riuscisse finalmente a sbloccare, gli effetti benefici sulle casse pubbliche non si vedrebbero certo nel giro di un biennio.
Le credenziali di Armao
Insomma, questo rischio di bancarotta, allora, è concreto o no? Armao ostenta ottimismo: “I numeri sono complicati. Ma noi abbiamo impugnato il Bilancio dello Stato. E stiamo portando avanti un confronto col governo nazionale: il tavolo è aperto. In gioco c’è l’autonomia finanziaria della Regione. Ci hanno scaricato addosso delle competenze senza riconoscerci le risorse adeguate, neanche quelle che ci spettano da Statuto”. È lì l’unica exit strategy possibile: un esito favorevole dei negoziati romani (come quelli sul gettito fiscale relativi agli, inattuati, articoli 36 e 37 dello Statuto che riguardano tra l’altro le imposte delle imprese che hanno rami d’azienda in Sicilia) che permetta alla Regione di far quadrare i conti allontanando lo spettro del default. Per rassicurare lo Stato sul fatto che la Sicilia vuole lasciarsi alle spalle i tempi bui delle spese folli, Armao sottolinea, tra l’altro, l’avvio della spending review, con il comitato che sta procedendo al monitoraggio e alla razionalizzazione della spesa pubblica. “Siamo i primi ad applicarla. Stiamo lavorando per farci dare i primi indicatori già per marzo, per individuare le aree su cui tagliare la spesa”, dice l’assessore, che alla ragioneria generale ha “ingaggiato” nelle scorse settimane un pezzo da novanta come il palermitano Biagio Bossone, già uomo della Banca mondiale, con un curriculum autorevolissimo. Negli uffici non si crede più di tanto al rischio default. “Alla fine un bilancio lo si approva sempre”, si dice dalle parti di via Notarbartolo. Sempre ammesso che il commissario dello Stato non lo impugni, scatenando il caos.
Il monito di Lo Bello
”Forse non si e’ ancora ben compresa l’entità della grave crisi economica e finanziaria in atto”, ha detto qualche giorno fa Gianpiero D’Alia, che con la sua Udc ha avanzato alcune proposte per raggranellare 700 milioni, un brodino caldo. E forse ci si poteva pensar prima (L’Udc è passata all’opposizione a gennaio dopo undici anni di governo). In effetti, però, nel dibattito politico della faccenda si parla poco o niente. “Dove sono i deputati e senatori eletti in Sicilia? – domanda Armao -. Come mai non chiedono perchè Friuli, Trentino e Val d’Aosta hanno subito chiuso gli accordi sul federalismo fiscale e la Sicilia e la Sardegna no?”. Chi ha ben chiara l’entità della crisi finanziaria della Regione è il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, che il primo di marzo scenderà in piazza insieme ad associazioni di categoria e sindacati per una “Marcia per il lavoro e lo sviluppo”. “La situazione finanziaria della Regione è drammatica – avverte Lo Bello -. Lo stesso assessore Armao alla fine ha convenuto su quello che diciamo da tempo e cioè che il deficit sta intorno ai due miliardi e mezzo, senza tenere conto degli effetti della recessione sulle entrate fiscali”. Gli industriali temono che le casse regionali si svuotino in una regione la cui economia è tenuta in piedi di soldi pubblici: “Una crisi di liquidità della Regione metterebbe in ginocchio il sistema produttivo – dice Lo Bello -. Ci vuole un grande sforzo collettivo, lo stesso che sta facendo il governo nazionale che ha ribaltato una situazione che a ottobre-novembre prospettava un esito greco. Oggi bisogna procedere al taglio di tutte quelle voci di bilancio che non producono ricchezza. E i tagli presenti nella manovra sono insufficienti. Di fronte a questa reale emergenza siciliana – conclude il presidente degli industriali -, siamo pronti a collaborare e a supportare le necessarie e dolorose politiche sotto il profilo sociale”. Serve una manovra lacrime e sangue, insomma. Quante chance ci sono che questa Ars ne voti una a due mesi dalle elezioni?