Palermo, malcontento verso i boss: tra soldi "fottuti" e nostalgia

Malcontento mafioso: soldi “fottuti” e nostalgia del boss

La crisi di "credibilità" di chi comanda a Palermo Centro

PALERMO – Tra mafiosi e picciotti di Palermo Centro covava il malcontento. Pochi soldi, poco consenso. Anche i Mulè, che da anni dettano legge nel cuore della città vecchia, finirono per non essere ben visti. Accusati persino di “fottersi i soldi”.

Il loro consenso scricchiolava in tempo di magra. La macchina della droga serve a mandare avanti la baracca in una mafia che tiene ancora sotto scacco grosse fasce di popolazione. In un contesto di disagio economico e culturale fare lo spacciatore o il picciotto del racket diventa un obiettivo.

I soldi, però, non bastano per accontentare tutti. Il numero degli arrestati cresce, operazione dopo operazione, e con esso le spese per aiutare le famiglie dei detenuti. Se si spezza il vincolo di solidarietà la mafia, forte ma stracciona di oggi, rischia il collasso.

Lo dimostrano le parole intercettate dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale nell’ultima operazione coordinata dalla Dda.

La credibilità dei boss Francesco e Massimo Mulè, padre e figlio, raggiunse i minimi termini. In una conversazione fra l’indagato Antonio Lo Coco e il pregiudicato Salvatore Morreale veniva fuori il malcontento: “Invece lui si può fregare i soldi e se li frega”. Degli ammanchi contestati al figlio era stato informato Mulè senior: “… quando una volta gli ho detto… vedi che glieli ho dato a tuo figlio… si è bloccato… che gli va a dire a suo figlio ti sei preso i picciuli. Che gli dice… appena glielo dice si ci deve litigare”.

Ancora più esplicita è la conversazione fra Giuseppe Mangiaracina e Salvatore Gioeli. Quest’ultimo, mafioso di lungo corso, raccontava di avere contestato ai Mulè di “fottersi i soldi”. Non gli piaceva neppure la divisione dei guadagni.

“Duecento” a chi comanda e “noialtri 80. Ma, nooo: 200 e noialtri 10”. Ai gregari restavano gli spiccioli, seppure facessero il grosso del lavoro e si sentissero “pari merito” dei capi. “Però… però si va allo scontro”, diceva Gioeli. Mangiaracina riportava il discorso alla realtà magra: altro che “scontro, questo è campare”.

La conversazione si concludeva con la nostalgia dei tempi in cui comandava Alessandro D’Ambrogio, che sta scontando una condanna a 19 anni e 8 mesi. “Prende cinque e ne divide sei”, dicevano del reggente dell’intero mandamento. È con i soldi che si costruisce il consenso. Soldi e lavoro sporco, che sostituisce quello regolare che per molti resta un miraggio.


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