PALERMO- Il Colle accelera i tempi sul ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto d’attribuzione con la Procura di Palermo dopo le intercettazioni delle conversazioni tra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, indagato nell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia. La Corte Costituzionale, che aveva dichiarato ammissibile il ricorso, aveva già dimezzato il termine per la notifica ai pm palermitani (solitamente si danno 60 giorni, ma ne sono stati disposti 30 in questo caso). Ma il Quirinale ha bruciato le tappe impegnando appena cinque giorni per far arrivare il ricorso alla Procura siciliana che adesso ha altri 20 giorni per costituirsi in giudizio. Il prossimo passo è la nomina dell’avvocato che rappresenterà gli interessi dei pm palermitani, che intanto stileranno una memoria sulla vicenda.
Il ricorso è stato consegnato questa mattina al procuratore Francesco Messineo, dalla segreteria generale del presidente della Repubblica tramite l’avvocatura dello Stato. “Stiamo lavorando per costituirci e stiamo raccogliendo tutto il materiale per la memoria che presenteremo”, ha detto il procuratore. La Consulta potrebbe quindi iniziare a trattare il caso già a ottobre. Starà ai giudici stabilire se sia valida l’impostazione sempre sostenuta dai magistrati, secondo cui, sulla base del codice di procedura penale, solo un gip poteva ordinare la distruzione di quelle registrazioni, o se invece quelle intercettazioni andassero distrutte, al termine dell’inchiesta e dopo tutte le necessarie udienze, come ritiene il Quirinale appellandosi all’articolo 90 della Costituzione sulle tutele presidenziali. Il ricorso verte anche sulla legge 219 del 1989 che all’articolo 7 stabilisce che nei confronti del Presidente della Repubblica non possono essere eseguite intercettazioni se non dopo che la Consulta lo abbia sospeso dalla carica. La legge non distingue, però, tra intercettazioni dirette e indirette. I giudici della Consulta hanno però anche una terza possibilità, quella dell’ammissione dell’esistenza di un vuoto normativo per quanto riguarda possibili intercettazioni del Capo dello Stato e, in particolare, sulle intercettazioni indirette, ossia effettuate casualmente durante controlli che riguardano altri soggetti, come è avvenuto in questo caso.