PALERMO- Dall’alto di Monte Pellegrino, dalla dimora della Santuzza, Palermo sembra soltanto più lontana. Ma è appena una illusione. Tutto, quassù, racconta la vicinanza dei drammi che hanno colpito, di recente, le persone e la città. Anche i volti delle ragazze e dei ragazzi della parrocchie, convenuti qui per la celebrazione – volti puliti di belle comunità – hanno un doppiofondo inquieto. Non è possibile dimenticare gli incendi, la violenza sessuale del Foro Italico, pagine atroci della nostra cronaca. E non sarebbe giusto.
Ne è consapevole l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, che si fa chiamare don Corrado, nella misura di una vicinanza a tutti. Le sue riflessioni, durante l’omelia nel giorno della nostra patrona, punteggiano pensieri diffusi (nella foto dalla pagina dell’Arcidiocesi, la Messa di stanotte). “Abbiamo sentito anche noi il bisogno di salire sul monte – ecco l’incipit -. Rosalia continua a chiamarci in questo luogo. La festa cristiana, prima di tutto, è una opportunità per ritirarci e non per alienarci. Un tempo e uno spazio per lasciare alle spalle il trambusto, la confusione, lo strepitio del quotidiano (..). La questione decisiva della vita, ci ricorda Rosalia, è essere «ricolmi di tutta la pienezza di Dio». È questione di calcolo di intelligenza, mentre è in atto un processo di stupidità collettiva, di perdita della passione morale che ci connota come esseri umani”.
La città deturpata dai roghi
“Ma se anche quest’anno siamo saliti a Monte Pellegrino con il cuore sedotto d’amore, per stare in disparte con la nostra Santuzza al cospetto del Signore – dice l’arcivescovo -, non possiamo negarlo o rimuoverlo, siamo costernati, appesantiti. In città, nell’aria, si respira ‘un’inquietudine e una pesantezza sociale’”. Ed è il dolore che irrompe: “È ancora pesante l’olezzo dei roghi che hanno travolto l’ambiente naturale compreso e conteso tra monti e mare, che cinge come grembo ridente la città di Rosalia, la nostra Città. Ora ci appare come grembo sfiorito, arido, sterile, tenebroso, così come si mostra ai nostri occhi Monte Pellegrino, la dimora che Rosalia si è scelta per vegliare dall’alto su di noi, per ricordarci di dare un primato a Dio e prenderci cura – come fa lei – della casa comune che abitiamo”.
Quella ragazza lacerata
Lorefice torna su una delle ferite più profonde, come aveva già fatto ieri: “Siamo sgomenti per i corpi dilaniati dei nostri giovani presi d’assalto da incauti mercanti di superalcolici e da accaniti spacciatori di crack, venditori di una felicità contraffatta che stravolge i sentimenti, corrode la mente e i distrugge i corpi. Siamo ancora sbigottiti dalle immagini del branco che si accalca attorno a una ragazza condotta al Foro Italico per lacerarla nel corpo e nell’anima. Un manipolo di giovani, accomunati dal delirio di ‘onnipotenza virile’, che si avventa su di lei come fosse ‘carne’ da preda. Epilogo del fallimento formativo di noi adulti, delle fondamentali agenzie educative della società”.
La Santuzza profanata
“Non possiamo essere gli amici, i devoti, i concittadini di Rosalia e violentare il suo corpo e la sua casa – insiste l’arcivescovo -. Aggredire il corpo di una giovane per le strade e tra le case che Rosalia ha contribuito a liberare dalla peste che seminava morte e angoscia, povertà e separazione, significa aggredire e violentare Rosalia, la nostra Santuzza. Ogni giovane donna è Rosalia, ogni anfratto di Palermo è la città che Rosalia ha liberato e che vuole libera dalle pesti di ieri e di oggi. Tutte le volte che appicchiamo un fuoco per incuria o per dolo causando incendi che devastano terreni, boschi, fauna, case e monumenti d’arte (come dimenticare il rogo che ha distrutto quel gioiello di chiesa che custodiva il corpo di S. Benedetto il Moro!); tutte le volte che abusiamo di un corpo – tradendo così il nostro stesso corpo che è fatto non per predare ma per riconoscere, accogliere e amare gli altri -, quando una strada o una casa della nostra Città invece di essere via di incontro e spazio esistenziale di cura si trasforma in trabocchetto di agguati o in spelonca di abusi, noi profaniamo Santa Rosalia e disprezziamo la sua e nostra città”.
“Oggi è festa – conclude don Corrado – se saliamo al monte del Signore, così da scendere a valle con l’intelligenza e la forza della fede. Per contribuire a cambiare il volto di Palermo. È questa la festa autentica che oggi dobbiamo vivere! Lo dobbiamo a Rosalia. Ai nostri giovani depistati. Alla nostra città smarrita”.